Suburbicon, l’America al di sotto di ogni sospetto
E' un Paese color complotto, che nasconde le proprie nefandezze sotto lo zerbino di casa, serve il the e i pasticcini all'ospite inatteso e usa la racchetta da ping pong per sculacciare l'amante, l'America, ipocrita e borghese, raccontata da George Clooney: quella dei <perfetti> e <pastellosi> anni '50. Che tanto, troppo, assomigliano ai nostri. Una grande nazione incapace di riconoscere il male neanche se ci va a sbattere contro; razzista nel midollo, perché ieri come oggi <non siamo noi che siamo bigotti, sono loro che non sono integrati...>.
E' una commedia nerissima, <Suburbicon>, sesta regia del super divo di Hollywood che, a tre anni dal flop di <Monuments men>, porta ora sullo schermo una sceneggiatura che i fratelloni Coen (riconoscibilissimo in ogni sequenza il loro marchio) hanno lasciato nel cassetto per più di trent'anni: un copione avvelenato che Clooney, inizialmente, avrebbe dovuto solo interpretare e che alla fine, invece, si è ritrovato, tra satira e impegno, addirittura a dirigere.
Visto con gli occhi innocenti di un bambino (figlio dell'impeccabile Gardner Lodge e di sua moglie Rose, rimasta paralizzata in un incidente), il film è ambientato nella <ridente> Suburbicon, paciosa cittadina (ispirata a Levittown, utopia all white, creata in Pennsylvania per persone di razza caucasica) dove tutti sono concentrati a fare la guerra a un'onesta e irreprensibile famiglia di colore mentre nella casa accanto, quella dei vicini, si consumano, nell'indifferenza generale, i peggio delitti...
Grottesco e dark, ricco di invenzioni di scrittura che Clooney asseconda senza metterci troppo di suo, <Suburbicon>, regalato a Matt Damon un ruolo inedito, prende a calci un'America psicotica e immorale dove non si salva nessuno, giocando con la cinefilia (dai tanti amanti diabolici dello schermo a <La donna che visse due volte>) per esaltare il feroce paradosso di una società accecata dai suoi stessi pregiudizi. L'accurata ed elegante ricostruzione d'epoca è poi infine il fiocco del pacco bomba che il film spedisce all'istituzione famiglia: scandalosamente infelice, avida, disposta a tutto – anche ad uccidere – pure di realizzare i propri desideri. Un castello di menzogne costruito tra le 4 mura di un'America al di sotto di ogni sospetto.