La tenerezza: Amelio sulle scale della vita
Forse ha ragione Micaela Ramazzotti, forse ha ragione lei: questo e' un film che ti fa venire voglia di abbracciare qualcuno. Perché c'è sempre una distanza tra i personaggi, muri invisibili eppure insormontabili, fossi colmi di rancore che nessuno vuole saltare, superare. E' un film dove ci si tocca poco, dove non c'è quasi contatto fisico, a dispetto di un titolo che evoca carezze (bello e sorprendente proprio perché giocato a contrasto), <La tenerezza>: pieno di vicoli, di corridoi, di salite che non diventano mai discese, di scale, di gradini. Che poi sono il senso, fisico e materiale, di un disagio, di una fatica, più sottile, del malessere esistenziale di una vita che ti lascia perennemente senza fiato: che non e' che manca la voglia, ma, piuttosto, il respiro.
E' attraversato da una tensione emotiva forte, una specie di ansia, un'insofferenza a cui e' difficile dare persino un nome, il nuovo, intimo, film di Gianni Amelio, prova toccante e riuscita del regista calabrese che, a quattro anni dal passo falso de <L'intrepido>, rilegge con sensibilità ed eleganza <La tentazione di essere felici>, romanzo premiatissimo di Lorenzo Marone. Ambientando in una Napoli bellissima e borghese, affascinante nella luce di Bigazzi - tra esterni brulicanti e interni nobili - prima ancora che crudele, la storia di Lorenzo, anziano e misantropo azzeccagarbugli appena sopravvissuto a un infarto: vedovo e solitario, non parla da anni coi figli (una, lost in translation, indossa la maschera grave di chi non conosce perdono, l'altro è indifferente a tutto ciò che non sia se steso), che evita anche di guardare in faccia. Finche' un giorno nella sua vita entra Michela, la nuova, sorridente (ottimista nonostante), vicina di casa: e la sua famiglia...
A tratti troppo letterario, con qualche innesto che ricorda Ozpetek, <La tenerezza> si muove pero' benissimo tra spazi reali (quelle stanze piene di oggetti, quelle strade dove gli scooter ti stanno addosso, che sembrano strette anche quando sono enormi) o quasi metafisici (il bianco che annulla e la neutra, desolata, solitudine di un ospedale, ma anche l'idea abbozzata e fuori contesto di una nave in costruzione), tra pieni e vuoti a cui la steadycam da' una forma e interpreti ispirati (il protagonista Renato Carpentieri prima di tutto, ma anche Micaela Ramazzotti, Elio Germano, Giovanna Mezzogiorno...) un volto. Bravo nell'evitare le trappole del melodramma, a tenere sempre accesa la luce dell'autore, Amelio perde un po' il film nel finale, quando il peso della storia passa sulle spalle della figlia del protagonista. Ma forse il fatto è che <nella vita tutto quello che facciamo è una scusa per farci volere bene>: e questa volta il regista de <Il ladro di bambini> ci riesce in pieno.