Mia e il leone bianco: la straordinaria amicizia tra due pezzi unici
Più che un film, questo è un esperimento: forse, se volete, più sentimentale che scientifico, ma tant'è. Prendete una bambina che non è un'attrice e fatela crescere insieme a un cucciolo di leone che non è un peluche. Il tutto sotto l'occhio attento della cinepresa e, soprattutto, di uno zoologo che all'inizio pensava che l'impresa fosse, prima che rischiosa, impossibile. Il bello di <Mia e il leone bianco>, tenera fiaba animalista di Gilles de Maistre, sta proprio qui: nel come più che nel perché. Non c'è trucco né inganno: il re dalla foresta e la ragazzina sono realmente diventati inseparabili. Il leone non è stato addestrato e il film - perché di questo si parla, di fiction, e non di documentario - è stato girato nel corso di tre anni (un po' come nel caso di <Boyhood>) durante i quali la piccola attrice e il suo, sempre più ingombrante, <compagno di giochi> sono stati più volte richiamati a recitare sul set. Senza mai il minimo incidente.
Storia dell'amicizia esclusiva tra due <pezzi unici> - il leone bianco, rarissimo, e una ragazza che si sente fuori dal mondo – il family movie non abbonda in sfumature, è esile nella scrittura, ma nel rapporto simbiotico uomo-animale insegue l'utopia di una Natura più madre che matrigna a cui, finalmente, riconsegnarsi. Non sarà tutto questo granché: ma alla fine del film vorrete più bene a quel leone che a metà degli esseri umani che conoscete.