L’ufficiale e la spia: Polanski sfida l’odio e il potere
<Potete cambiare la procedura, ma non i fatti>.
C’è la fede etica e laica di chi sceglie di ascoltare la propria coscienza, la guerra dichiarata all’ottusità di un’umanità che - ieri come oggi - non si può permettere il lusso di ammettere i propri errori, l’orrenda, violenta, idiozia di un popolo bue che brucia i libri e rifiuta la verità nel modo, integerrimo, con cui Roman Polanski, in quest'epoca sacrificata alle post-verità, dominata dalle emozioni, dalla <pancia>, gira un film apparentemente molto classico ma in realtà molto attuale, moderno, contemporaneo. Nel rievocare l'<affaire> Dreyfus reso famoso dalla penna di Zola, la storia del capitano francese di origine ebraica condannato – da innocente – per tradimento, l'autore premio Oscar de <Il pianista> lancia il suo personalissimo <j'accuse> contro una società antisemita, xenofoba, pericolosamente sovranista. Di fine ’800? Certo: eppure per molti versi, e in modo inquietante, maledettamente simile alla nostra.
Documentatissima (<tutti i fatti narrati sono realmente accaduti> avverte una scritta in calce sui titoli di testa), molto rigorosa anche dal punto di vista della (ricca) ricostruzione storica, precisa e puntuale nella sua volontà di non sbagliare nulla (niente è fuori posto, nemmeno la polvere) per non fomentare mezze verità là dove ne conta una sola, la pellicola è un incalzante dramma storico (e, soprattutto, politico) costruito con grandissima attenzione su una robusta impalcatura narrativa, nelle cui pieghe a nessuno sfugge che l'86enne regista, in un ieri che è di nuovo oggi, si riveda, lui che da oltre 40 anni è inseguito da accuse, polemiche, insinuazioni, in quel militare perseguitato ingiustamente. Strali che non gli hanno impedito di aggiudicarsi il Gran premio della giuria alla Mostra di Venezia, affidandosi, con una scelta inedita indovinata, non allo scontato punto di vista della vittima ma a quello di uno dei suoi (ottimo il lavoro di sottrazione di Jean Dujardin) principali accusatori: costretto, per preservare la propria coscienza, a ravvedersi e, nel culto illuminato della verità, a redimersi lottando contro un potere <infallibile> e sempre tremendamente uguale a se stesso nell'alimentarsi delle sue stesse menzogne, ancorato all'immagine, fasulla, che, a costo di negare l'evidenza, ha fantasticato di sé.
L’orrenda macchinazione, la stampa manipolata, la battaglia giudiziaria, la macchina del fango: un film, <L'ufficiale e la spia> (co-prodotto da Luca Barbareschi), che accoglie in sè la lezione di un cinema d’altri tempi: quello che sentiva il dovere di fare ciò che va fatto.