Hammamet: un Favino strepitoso riapre il caso Craxi
<Quando io non ci sarò più chi mi difenderà?>.
C'è un respiro in questo film: faticoso, stanco, provato. E nomi pochi, o nessuno: qualcuno falso, uno (quello di Vincenzo, Vincenzo Balzamo, il tesoriere del Psi di cui tutti si sono dimenticati tranne Wikipedia) vero. Ma è quel respiro fondo, intermittente, più di tutto a essere reale: il respiro di un re deposto, in esilio al di là del mare. Come un leone ferito, il Faraone vittima della sua stessa arroganza, cacciato da un <popolo> che nel frattempo è diventato <gente>. E' un ritratto postumo e dolente, il film che Gianni Amelio ha dedicato agli ultimi giorni di Bettino Craxi, <l'uomo che si è arrubato l'Italia> di cui il regista de <Il ladro di bambini> restituisce la personalità complessa, vanitosa, carismatica, collerica, lucida, debordante: non tanto con fini agiografici come qualcuno sostiene, ma piuttosto riconoscendone, a freddo, l'umanità e, là dove <la democrazia ha un costo>, l'onore della sconfitta. Cose belle, altre meno: Bobo che canta <Piazza Grande>, Bonolis e le sue <spintarelle> preferito ai vecchi film con Robert Mitchum, Berlusconi e Vespa, confesioni alla videocamera, l'ombra di Di Pietro e un'eredità politica che <semmai è una maledizione>. Ma dove <Hammamet> convince meno è nell'uso in un contesto documentato o verosimile di un personaggio metaforico: quello del giovane figlio di Balzamo (come una sorta di cattiva coscienza) con cui Craxi si confronta. E' la chiave narrativa principale ma anche la meno riuscita di un film amaro e per altri versi interessante, anche nel suo coraggio di spingersi rischiosamente fino al grottesco più feroce (la sequenza con Olcese e Margiotta), nel trasfigurare, rendendola contemporanea, la verità storica di un personaggio scomodo. Che abbia o meno ragione l'ingombrante numero uno socialista travolto da Tangentopoli quando sostiene che ad abbatterlo è stata <una rivoluzione falsa come i suoi eroi> è da vedere: certamente, nel susseguirsi di troppi finali, non si resiste dal domandarsi cosa ne sarebbe stato di un soggetto del genere nelle mani di un metafisico Bellocchio o del visionario Sorrentino. Congetture di poco valore però davanti all'interpretazione semplicemente mostruosa di Pierfrancesco Favino, 5 ore di trucco giornaliere per diventare (ho detto diventare, non semplicemente assomigliare) Craxi e un lavoro mimetico straordinario a livello di postura e intonazione. Basta lui, che da solo vale il prezzo del biglietto, a convincerci che <il caso C. non è chiuso>.