Qui rido io: la bellezza della commedia umana
Nella recita permanente della commedia umana, l'omaggio sentititissimo di un autore ricercato e intellettuale al teatro più popolare: perché nell'eterna e assurda lotta tra arte «alta» e «bassa», tra tragedia e farsa, si riconosca e si premi solo il genio, da qualunque parte della barricata esso sia.
Mario Martone, dopo la moderna rilettura de «Il sindaco del Rione Sanità», celebra Eduardo Scarpetta, leggendario commediografo napoletano, vissuto a cavallo tra otto e Novecento: tra un centinaio di commedie, un numero sicuramente non inferiore di donne, applausi, soldi e nove (non tutti legittimi, come i poi straordinari Titina, Eduardo e Peppino De Filippo) figli. Un personaggio bigger than life con cui il regista vesuviano - oltre a servirsene per mettere in scena l'inevitabile teatralità della vita e l'irresistibile magia del palcoscenico -, difende dagli attacchi pelosi di un'intellighenzia culturale decisa (ieri o oggi poco importa) a dettare nuove regole l'arte (sacra) di fare ridere, di intrattenere, di divertire. Facendosi gioco di chicchessia: potenti e grandi poeti compresi.
Tanto che «Qui rido io» , seppure colga interamente lo spessore umano di Scarpetta (interpretato da un istrionico Servillo), si concentra soprattutto su un episodio clamoroso che lo vide a malincuore protagonista: il processo in cui fu accusato da D'Annunzio per il presunto plagio de «La figlia di Iorio». Una causa che fece epoca e stabilì per la prima volta un diritto sacrosanto. Quello alla parodia.