In viaggio con mio figlio, l’avventura di essere un padre speciale

Uno è un comico che non fa troppo ridere, vive ancora con il padre e dopo avere fatto l'amore piange sempre; l'altro è un bimbo autistico che vuole solo essere visto, odia le banane e urla come un pazzo se cerchi di abbracciarlo: sono la coppia in fuga (nemmeno loro sanno davvero da cosa) di un on the road padre/figlio con vaghe risonanze di «Rain Man», ma in realtà molto più simile (e affine) a «Tutto il mio folle amore» di Gabriele Salvatores.

Ha sensibilità non posticcia e un taglio di inquadratura con qualche (seppure misurata) velleità, «In viaggio con mio figlio» (che sconta un titolo italiano che più banale non si può), il film con il quale l'attore e regista Tony Goldwin (era il cattivo di «Ghost», da cui qui recupera, in un piccolo ruolo, Whoopi Goldberg) offre, con sguardo non consolatorio sulla malattia, uno spaccato sincero e anche toccante di quanto sia complesso, faticoso, frustrante (e a volte, improvvisamente, meraviglioso...) essere genitori di un ragazzino «fuori dalla norma».

Uno come Ezra, che magari sta chiuso a riccio nel suo mondo perché non ha mai avuto una buona occasione per stare nel nostro: e cerca di capire se davvero ne vale la pena viaggiando verso Los Angeles con il padre Max, che lo ha rapito per non farlo finire in un istituto per «ragazzi speciali».

Scritto da uno sceneggiatore (Tony Spiridakis, qui anche produttore) che ha davvero un figlio autistico e che per redigere il copione ha attinto alla sua vera storia, e interpretato dal deb William A. Fitzgerald, piccolo attore neuro divergente, «In viaggio con mio figlio» è un film che oltre a spiegare cerca di capire: uno sforzo che, nonostante l'impianto narrativo sia già molto visto e le dinamiche interpersonali usurate, è da premiare. Così come la bella faccia da cinema di Bobby Cannavale (che qui tiene testa anche a un mostro sacro come De Niro), uno che quando appare sullo schermo capisci che lo vorresti vedere più spesso.

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