Nonostante, dimenticare è un po’ morire
Nel limbo di ciò che non siamo più ma continuiamo a essere, prima che arrivi la bufera a portarci via, Valerio Mastandrea, in piena «crisi di mezzo aldilà» (per dirla alla Tim Burton), gira con sensibilità, nel (non) luogo stesso dove ha casa l'attesa, un film di anime smarrite, cuori solitari sospesi sul ciglio di un addio, là dove, tra chi torna e chi se ne va, anche dimenticare è un po' morire.
Seconda regia dell'attore romano, «Nonostante», che ha aperto la sezione «Orizzonti» della Mostra di Venezia dell'anno scorso, si avvicina in punta di piedi al cinema soprannaturale, raccontando la storia di un gruppo di persone che sono in coma all'ospedale. Mentre i loro corpi non danno segni di risveglio, tra visite non sempre opportune e volontari stonati che cantano «Non voglio mica la Luna», i pazienti vivono in un'altra realtà, osservando se stessi immobili nel letto ma fraternizzando anche con gli altri malati. Tanto che un lui, colpito da un bimbo precipitato dal balcone di casa, e una lei vittima di un incidente stradale («un grande classico»...) scoprono improvvisamente di piacersi...
Originale e anche toccante, «Nonostante», che dosa col giusto equilibrio ironia e malinconia, fa dell'immobilità, dello stallo, dei suoi personaggi la metafora di un'umanità che vive con timore il presente, bloccata dalla paura di fare un passo avanti o uno indietro, subendo l'esistenza più che viverla, cavalcarla, complicarsela.
La dimensione da «ghost movie», seppure fortemente allegorica, non risulta però sempre efficace e per quanto la storia d'amore sia trattata con grande delicatezza, il materiale a disposizione di Mastandrea (che, anche protagonista della pellicola, ha dedicato il film a suo padre) appare a volte esile Tanto che, troppo spesso, le pause narrative vengono riempite da (belle) canzoni: un escamotage che alla lunga stanca..