Appesi al cornicione del terzo millennio: spersi e innamorati Gli sdraiati dell’Archibugi
Però li sa raccontare i giovani la Francesca: indecifrabili, annoiati, scazzati, spersi, soli al mondo, incompiuti, schiacciati da un peso che nemmeno loro sanno cosa, senza meta, ironici, innamorati, irrisolti, sdraiati. Appesi al cornicione del terzo millennio: che è un attimo, lo sai, cadere. E farsi male. Altro dai luoghi comuni in cui il mondo degli adulti cerca di recintarli, di contenerli, altro dalle etichette che gli appiccicano sopra e di cui loro stessi si prendono gioco, si fanno scherno. Che se si mettono le mani addosso, i ragazzi, è sempre per una tipa che mica è ancora una donna, ma una bimba immusonita e dagli occhi belli. Altro, soprattutto, da genitori insicuri e prevedibili, spaesati e inadeguati in quello stargli sempre addosso, in quel sentirsi sempre fuori dalla porta, dall'altra parte del muro. Magari pretendendo sincerità senza prima darla, spiegando anche quello che non conoscono, che non sanno. Nella solitudine del bosco verticale di una Milano non da bere (paese straniero per lei, romana nel midollo), l'Archibugi ascolta i dialoghi di un mondo capovolto, andando al di là del film <semplicemente> generazionale per trasformare il libro-lettera di Michele Serra in un romanzo familiare dove raccontare il rapporto di un padre separato, famoso giornalista televisivo, col figlio liceale. Due <pezzi unici> in cui però si riconoscono in tanti: mondi lontanissimi, incapaci di comunicare, di ammettere le proprie debolezze, di confessare le proprie colpe, che la regista fa scontrare, ma anche avvicinare. Donando a <Gli sdraiati> (nonostante un Bisio un po' monocorde – a differenza dei ragazzi, bravissimi - e una fotografia a volte piatta) una non scontata sincerità di situazioni e di sentimenti.