Le cose che verranno: chi non desidera nulla perde tutto
<Non si è felici che prima di essere felici>.
C'è l'odore delle case per anziani, la vita così come accade, senza scene madri, la filosofia (l'amore per la sapienza, per la conoscenza), che è dappertutto e, come tutto, si scontra con le prospettive di mercato: e il mondo, che, in fondo, <è sempre lo stesso: solo peggio>. E la verità, anche, quella sì, inevitabile: che esiste anche nell'arte. Ma è il tempo a stabilirla, a consegnarcela: a meno che anche lui qualche volta non si sbagli. E'un film dove convivono insieme Pascal e Woody Guthrie, Rosseau e Enzensberger, Kant e Kiarostami, Adorno e Schopenhauer, <Le cose che verranno>: colto, ma senza peccare di intellettualismo snob, più di cuore, paradossalmente, che di testa. Forse perché è la storia di una, ma potrebbe essere (o già è) quella di tutti: un viaggio in un'età che è scomoda anche da raccontare, là dove si apre, imprevista, la stagione del rimpianto e dell'amarezza. Una sorta di terra di mezzo e di nessuno dove all'improvviso si rimane soli con l'ultima persona con cui forse vorresti restare: te stesso.
Capita anche a Nathalie, brillante e soddisfatta insegnante di filosofia, che in un attimo perde tutto: marito, madre, casa editrice. E molte delle sue sicurezze. Resta giusto la gatta: a cui è allergica...
Tra ideali che si contrappongono e certezze che si sbriciolano, un bellissimo ritratto di signora nei giorni in cui tutto è <dubbio e inquietudine> e, piombati nell'oscurità, si va in cerca del <vero bene>, ignorando ciò che si è e che si deve fare. Un film che sembra lieve e passo dopo passo si fa più fondo, girato in maniera naturalissima da Mia Hansen-Love, 36enne regista amata da Assayas (che, ancora ragazzina, la volle come attrice per poi farne la compagna della vita), che tra macchina a mano e steady, accarezza con movimenti mai violenti e uno stile personale e rohmeriano che non urta mai né si sovrappone a ciò che si racconta (e che, davvero, conta) delusioni e prese di coscienza di un'<eroina> contemporanea. Bravissima nel muoversi nelle tre fasi (la ribellione anarchica e assolutista della gioventù, la crisi, a volte codarda, della mezza età, la resa, scomposta e oltraggiata, della vecchiaia), l'autrice francese, miglior regista a Berlino 2016, consegna il film a una magnifica (dov'è la novità?) Isabelle Huppert, che si imbelletta il viso col bianco tra le righe, segnando ogni ellissi con toni e sfumature differenti. Rendendo autentiche – e <nostre> - frasi che rischiano di avere una verità solo nei libri, per mettere in guardia, infine, chi non desidera più niente: e in questo modo <perde tutto ciò che possiede>.