Filiberto Molossi Filiberto Molossi

Bird, il cinema randagio e outsider di Andrea Arnold

È un cinema randagio e outsider, che ha le unghie sporche e genitori (pressoché) non pervenuti, periferico, rock, tatuato, marginale, quello di Andrea Arnold: dove per quanto tu possa cantare a squarciagola «Yellow» dei Coldplay per fare commuovere un rospo, stai certo che non si trasformerà mai in un principe. Non qui, non ora. Un cinema, fisico e gergale, che piace agli angeli. E, moltissimo, anche a noi.

Sarà che ci vediamo stracci di poesia in quelle pareti piene di graffiti, tra cuori cancellati con una «X» e la parola «speranza» scritta, accanto a oscenità varie, sull'ascensore. Sarà che la regista, figlia di genitori ragazzini, affidata ai servizi sociali, illuminata sin dai tempi di una scuola non finita, messo in scena il gioco del pedinamento, si affeziona subito alla sua protagonista e le sta accanto come la sorella maggiore che non ha. Tornando con la macchina a mano e un montaggio mai pigro a casa, nei sobborghi dove è nata, il disastrato e sottoproletario Kent a Sud di Londra, un mondo scrostato, costretto dalla società civile fuori dall'inquadratura, in cui riesce persino a trovare scampoli di inaspettata e pacificata bellezza.

Lo stesso universo «altro» dove adulti (nella migliore delle ipotesi) deludenti circondano la 12enne Bailey (la deb Nykiya Adams, bravissima: qui col Barry Keoghan di «Saltburn» e Franz Rogowski di «Lubo»), ragazzina in un corpo che cambia, che anela la libertà di una farfalla o di un uccello, mentre in realtà si sente una mosca che cammina su una finestra irrimediabilmente chiusa. Il padre, che l'ha avuta a 14 anni, vuole risposarsi, il fratellastro vorrebbe fuggire in Scozia («fa freddo laggiù». «Ho messo tre felpe»), il nuovo compagno della madre la massacra di botte: ma l'incontro con un bizzarro personaggio che cerca il padre che lo ha abbandonato, sembra poterla riconciliare con il suo complicato quotidiano...

Energico, empatico, ultrarealistico eppure capace di un tocco magico (o comunque onirico) che può rendere accettabile anche il presente, «Bird», il nuovo, non scontato romanzo di formazione dell'autrice di «Fish tank» e «American Honey», grande narratrice di un'adolescenza spersa, accompagna un'umanità in qualche modo orfana e dimenticata fuori dal sentiero della rassegnazione. Dove, tra riprese con lo smartphone (da cinema verticale) e angeli con la gonna (e le piume), si può ancora credere ai miracoli. O almeno che sì, «andrà tutto bene».

Read More