The Walk, la sottile linea dell'utopia: quando il sogno diventa opera d'arte
<E' impossibile. Ma lo farò>.
E pazienza se sotto non c'è niente: se non la caduta, la morte innominabile, la fine. Sotto c'è solo il vuoto: e il fallimento, che inesorabile precipita come solo un'utopia può fare. E allora fai attenzione, un passo e un respiro alla volta, piano, più piano: senza nemmeno bisbigliare per non svegliare i demoni... C'è l'irresistibile tentazione di vivere sul filo (che è concetto metaforico, condizione esistenziale) così come la forza invincibile dei sogni e il pericolo devastante (e arrogante) dell'ossessione, in <The walk>, il film - perennemente sospeso (come il fiato dello spettatore) - con cui il grande Robert Zemeckis (mai sentito parlare di <Ritorno al futuro>, <Cast away> e <Forrest Gump>?) eleva l'impresa incredibile del funambolo francese Philippe Petit - che tese una corda tra le Torri Gemelle per camminare nel vuoto a 415 metri di altezza - in opera d'arte, in qualcosa di assurdo e sublime: non solo una folle sfida con se stessi e col mondo, ma un atto anarchico e (pacificamente) rivoluzionario, alla ricerca di una bellezza che lascia attoniti ma non ammette rete, perché <in scena non si mente>, perché il pubblico, in bilico sul ciglio dello stupore, mica lo puoi ingannare, mica lo puoi fregare. E' un brivido più teso di una fune quello che taglia in due <The walk> , un film sull'incredibile che può diventare reale (proprio come il cinema, altro mestiere dell'<impossibile>), una pellicola avvincente, esaltata da un uso finalmente spettacolare del 3 D, che Zemeckis pensa in verticale e costruisce (specie nella parte centrale) come un divertente <heist movie> (alla <Ocean's eleven>), regolando le lancette del tempo sul 1974. Quando un funambolo irriverente ideò il piano per realizzare il grande sogno della sua vita: esibirsi a 110 piani d'altezza, tra le Twin Towers (di cui il film è un commosso omaggio), i grattacieli più alti del mondo che facevano il solletico al cielo di New York. Molto prima di quel maledetto 11 Settembre, quando il mondo apparteneva ancora ai sognatori: a gente come Petit, gigante del contemporaneo piccolo solo nel nome, uno che oggi a 66 anni si esercita ancora tre ore al giorno perché giura di stare <ancora imparando a camminare sulla corda>, non usa il cellulare e non ha l'orologio, ma una cordicella rossa nel taschino da tendere su panorami veri e immaginari, mentre il pensiero favoleggia su altre imprese. E quando sogna, sogna di volare.