Tra i freak della Louisiana: il cinema estremo di Minervini
E’ un cinema «estremo» quello di Roberto Minervini: per la sua verità schietta e antropologica (scomoda, ruvida, a volte incandescente), per la volontà di non cedere a compromessi, nemmeno ai più piccoli e indolori. Una nicchia, davvero «l’altra parte», the other side: il luogo in cui questo marchigiano che a 44 anni pare ancora un ragazzo apre gli occhi là dove di solito gli occhi restano chiusi, posando lo sguardo su quello che gli altri (i tanti, i più) non vogliono vedere. E’ un bel soggetto, Minervini: laurea in Economia, prima che il regista ha fatto l’animatore nei campeggi, il maestro di tennis (giocherà meglio lui o Garrone?), il cameriere, il consulente finanziario nelle Torri gemelle. L’11 Settembre gli tolse il lavoro: ma lui, moglie texana, l’America non l’ha lasciata più. E si è buttato nel cinema: arrivando persino a Manila, nelle Filippine, per insegnarlo.
Gli piace l’ombra, la parte oscura del tutto, la metà marcia: e canta gli invisibili, i marginali, quelli che se mai arrivano all’uscio di un supermercato facciamo finta di non vederli. Gira nel profondo, là dove è più difficile respirare: tra i loser e i derelitti, i drop out e i rifiutati. Sopravvissuti e sopravviventi a un uragano sociale e etico, figli strafatti della terra di nessuno. Il non luogo dove ti risvegli nudo in un campo e non sai perché, tra ballerine di lap dance incinte di nove mesi e paramilitari che per passare il tempo (e il weekend) sparano in mimetica a carcasse di auto abbandonate. In una parola, «Louisiana»: 60% di disoccupati, siringhe di metanfetamine (legali) ad ogni ora e un odio viscerale contro Obama e quelle istituzioni che non li rappresentano. Lui con loro, in quell’America nascosta e poverissima, degradata e sconfitta, ha trascorso quasi un anno: conquistandosi la fiducia di un’umanità sfinita e il diritto di riprenderla nel suo intimo, nel suo privato. Ne è uscito un film molto crudo, un documentario durissimo e a tratti volutamente disturbante dove la cinepresa accarezza con impercettibile tenerezza le debolezze di questi protagonisti per caso, ma colpisce senza fare sconti lo spettatore. Messo davanti a una verità dolorosa, privato della cintura di sicurezza della finzione: e quindi costantemente scosso da quella anormale normalità, da quella «riserva» popolata di freaks solidali e resistenti, ancora in piedi, dopotutto, prima che la rabbia li divori.