Sicilian ghost story, la favola nera della mafia
<Quindi dovrei fare finta di niente, come tutti? Tanto la vita continua, no?>.
E' una goccia e sarà pure una goccia nel mare: ma scava la roccia, <Sicilian ghost story>. E va oltre i rosari e le donne vestite sempre di nero, le facce mute dietro le finestre e i singhiozzi al di là delle porte, le parole smozzicate e i silenzi smisurati: per abbattere il muro dell'omertà e della dimenticanza, dell'appiattimento di un ricordo che rende le vittime tutte uguali e tutte ugualmente senza storia. Lo fa con un'idea forte, provocatoria: trasfigurando un atroce fatto di mafia in una favola nerissima eppure non rassegnata, rifiutando sia il realismo scontato di certo cinema di denuncia che la rappresentazione retorica e stereotipata di alcuni modelli televisivi che rileggono con scarsa verità l'attualità. Per abbracciare invece, in una scelta che è politica oltre che stilistica, il genere fantastico, di cui conserva, a suo modo, i miti e gli elementi fondanti: la foresta, gli orchi, i passaggi segreti, una natura ambigua e bivalente, i fantasmi.
Opera seconda, collerica, dolorosa, anche potente, di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, che si erano messi in luce vincendo 4 anni fa a Cannes con <Salvo> la Semaine della critique (la sezione che quest'anno hanno avuto l'onore di inaugurare), <Sicilian ghost story> racconta di Luna, dodicenne che, sola contro tutti, cerca ovunque Giuseppe, il compagno di scuola di cui è innamorata, sparito da un giorno all'altro nel nulla...
Dedicato al piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito e per questo vittima di uno dei più spregevoli, efferati e inutili omicidi di Cosa nostra (che lo sequestrò per 779 giorni per poi ucciderlo e scioglierlo nell'acido), il film di Grassadonia e Piazza (che mercoledì sera saranno a Parma, all'Edison, per incontrare il pubblico) ricorre a una Sicilia inedita per coglierne la dimensione di mondo a parte, mettendo in evidenza, tra inquadrature a terra, uso del grandangolo e spazi soffocanti, gli stilemi riconducibili all'horror di una terra ostile, divorata dalla paura e dall'indifferenza. Ispirato a un racconto contenuto nella raccolta <Non saremo confusi per sempre> di Marco Mancassola, <Sicilian ghost story>, interpretato nella parte dei protagonisti da due esordienti (Julia Jedlikowska e Gaetano Fernandez), trova nella fiaba (così come già <Il labirinto del fauno> e, in parte, <Io non ho paura>) una valenza simbolica che restituisce autenticità e credibilità a una realtà altrimenti annacquata, sfibrata da troppe delusioni: quella in cui l'ostinazione della protagonista, la sua incapacità di arrendersi e il suo rifiuto di essere complice del sistema degli adulti, rappresentano i semi di una coscienza civile che appartiene alle nuove generazioni. Le uniche in grado di convincere gli dei a tornare.