Baby driver, la playlist cambia marcia
Questo è un film musicale: ma tranquilli, non nel senso che pensate voi. E nemmeno perché (anche se non è certo un aspetto irrilevante) ha rubato il titolo a una canzone di Simon & Garfunkel. Ma perché è girato in modo <musicale>, perché va al ritmo delle canzoni che si spara in cuffia, perché invece di avere una sceneggiatura, uno storyboard, segue piuttosto una <partitura>. O, meglio, una playlist. E perché nel suo montaggio interiore <balla>: dalla prima all'ultima sequenza. Gomme che stridono e pallottole che fischiano come fossero tanti, invisibili, passi di danza. E' proprio lì, in quel ronzio che diventa suono, in quelle inquadrature che vanno a tempo, che trovi l'optional segreto di un film cinetico e spavaldo, la settima marcia di uno spettacolo divertente che si discosta dall'intrattenimento tout court (che resta, ad ogni modo, il suo ambito di riferimento) per reinterpretarlo con personalità, obbligando i soliti codici (azione più amore più fuga) a indossare abiti vintage dagli accostamenti stracool.
Le cuffie dell'ipod sempre nelle orecchie, occhiali da sole e parole pochissime, Baby è un ragazzino born to run che, per pagare un vecchio debito, lavora come autista per un boss della malavita: fenomeno delle quattro ruote, porta a casa immancabilmente pelle e bottino di rapinatori che dopo ogni colpo hanno bisogno di sparire in fretta. Ma un giorno incontra lei: e capisce che forse dentro hanno la stessa canzone...
Molto disinvolto (anche nel mescolare citazioni e fonti di ispirazione, heist e drive movie, tracce sonore e linguaggi differenti), il film del 43enne Edgar Wright, inglese felicemente sovversivo (suoi <Scott Pilgrim> e <L'alba dei morti dementi>), scatta dal via a tutto gas, schiacciando sull'acceleratore – dopo un prologo <muto> e strepitoso e una sequenza dei titoli di testa altrettanto bella - per tutta la prima parte, nettamente la più riuscita: poi però, rallentato dalla storia d'amore, scala le marce e, tarantineggiando alla tavola calda, smarrisce un po' il suo sapore di vinile e di juke box, rientrando nei ranghi dove cerca di rispedirlo un finale sin troppo prolungato. Ma gli inseguimenti restano da urlo e pure il resto è niente male: funzionano i due giovani interpreti principali (Ansel Elgort e Lily James) così come i comprimari di lusso (con Kevin Spacey, Jon Hamm e Jamie Foxx c'è pure Flea, il bassista dei Red Hot Chili Peppers), la scrittura è vivace, il protagonista non scontato. Non dubitate: vale la pena di farsi dare un passaggio