Tutti i soldi del mondo, il film che visse due volte
Dava un prezzo a tutto (anche al sangue del suo sangue), era convinto di essere la reincarnazione dell'imperatore Adriano e nella sua smisurata villa aveva installato una cabina telefonica come quelle di Londra, si sa mai che gli ospiti desiderassero fare un'interurbana... Instancabile accumulatore seriale - di opere d'arte e di dollari -, per quanto denaro avesse messo insieme non gli bastava mai: non perché ne volesse ancora. Ma, semplicemente, <di più>. Sembra quasi un citizen Kane smarrito nella sua Xanadu, il Paul Getty di <tutti i soldi del mondo>, personaggio simbolo di un film che sotto le mentite spoglie del thriller è proprio di quello che parla: di soldi, della maledizione dell'oro (nero e non), del demone di una ricchezza che differenzia ma anche aliena, del peso e della schiavitù di un potere che macchia e contagia. Fosse davvero riuscito a farne una riflessione sull'avidità, sul possesso, sull'avere che diventa essere, la pellicola di Ridley Scott non sarebbe stata ricordata solo per la gestazione complicatissima (a interpretare Getty senior in origine era Kevin Spacey, ma dopo lo scandalo sessuale che lo ha travolto tutte le sue scene sono state cancellate e rifatte, al ritmo di 18 ore di lavoro al dì, da un, va detto, bravissimo Christopher Plummer...): ma dopo un inizio maldestro in una Roma immaginaria, l'apparizione delle Brigate Rosse che sembrano i Camaleonti, un pm da barzelletta che spara frasi fatte e banditi che non sono nemmeno capaci di tenersi un passamontagna in testa, non rappresentano, per così dire, un'iniezione di fiducia.
Altalenante e a forte rischio macchietta, <Tutti i soldi del mondo> è la ricostruzione assai poco credibile del rapimento, nel 1973, di Paul Getty III, nipote sedicenne dell'uomo più ricco della storia: che però non ha nessuna intenzione di sborsare i 17 milioni del riscatto. Tanto che a lottare per la vita del ragazzo sarà solo sua madre: un'intensa e dolente Michelle Williams.
Pesantemente condizionato da una serie di approssimazioni narrative oltre che dalla fastidiosa dissonanza tra la recitazione degli interpreti americani e quella dei loro colleghi italiani (che il brutto doppiaggio se possibile accentua), il film – candidato a 3 Golden Globes (regia, attrice e attore non protagonista) - dopo una prima parte parecchio traballante, cresce nella seconda dove si fa più feroce e disperato e più forte anche visivamente (come nella sequenza in cui <volano> i giornali), guadagnando punti nei confronti – tesi e ravvicinati - tra i personaggi principali. Ma non basta a ricomporre un puzzle etico di cui Scott ha perso in precedenza molti pezzi, disseminandoli ovunque: finendo per chiederci di pagare un riscatto per un film che non è all'altezza del suo stesso trailer.