Rabbia, lacrime e risate: Tre manifesti a Ebbing, Missouri
Ci sono film che te ne accorgi subito, li riconosci al primo istante: e li ami da allora, d'istinto, di pelle. Come se quello che ci fosse stato prima o dopo contasse poco, oppure niente: perché importano solo quelle due ore lì, che vane non sono. E nemmeno perse. Succede anche con <Tre manifesti a Ebbing, Missouri>, cazzuto già dal titolo (che non ammicca né cerca favori), un colpo di fulmine sin dal trailer, ben prima dei 4 Golden Globes vinti l'altro giorno, tra cui quello per il miglior film drammatico dell'anno.
Nell'America profonda dove <rabbia genera rabbia>, la provincia violenta e razzista che semina odio e raccoglie rancore, un apologo struggente e politicamente scorretto dove il western moderno incontra il cinema civile, un dramma furente e iracondo squarciato da improvvisi (e spesso irresistibili) lampi di umorismo nerissimo.
La figlia adolescente di Mildred, madre coraggio spaccata in due dalla vita, ferita e ostinata, è stata stuprata e poi uccisa: ma dell'assassino dopo mesi ancora nessuna traccia. Per dare la sveglia alla polizia locale, allora, la donna decide di affittare tre grandi cartelloni pubblicitari stradali facendo sapere a caratteri cubitali alla città e allo sceriffo (e al suo vice odioso e violento) che la sua pazienza è finita...
Indignazione e riscatto, facce sfatte e senso di colpa, orgoglio e perdono: diretto dal Martin McDonagh di <In Bruges>, che ne ha firmato anche lo sfaccettato e brillantissimo copione, <Tre manifesti> va al di là della solita epica dell'<una contro tutti> per esaltare con personalità una scrittura a contrasto dove l'ironia, per quanto amara, pugnala alla schiena un contesto ovviamente serissimo.
McDonagh lavora molto bene sull'evoluzione dei personaggi (anche di contorno: il poliziotto mammone, il nano corteggiatore, lo sceriffo che sa di essere all'ultimo round), coglie l'enormità del loro strazio, ma senza celarne (né cicatrizzarne) le imperfezioni, ne studia e ricama le sfumature: girando così un film arrabbiato e springsteeniano che a colpi di battute fulminanti sbriciola il muro delle convinzioni più ovvie.
Salutato alla Mostra di Venezia dello scorso settembre (dove vinse il premio per la miglior sceneggiatura) da applausi a scena aperta, <Tre manifesti a Ebbing, Missouri>, tra i grandi favoriti all'Oscar, è uno dei film che non si possono perdere quest'anno. Per molte ragioni: una ha anche un nome e un cognome. Frances McDormand, enorme nel ruolo della protagonista in un film dove anche i sassi sembrano avere preso lezioni di recitazione.