Miss Marx, un ritratto punk tra ragione e sentimento
Era una donna forte, emancipata, moderna, la figlia prediletta di un uomo, Karl Marx, che cambiò il mondo. Ma sopportò accanto a sè un uomo senza qualità, perdonandogli troppo e non riuscendo mai veramente a voltargli le spalle. Paragonata - non senza riferimenti indiretti ma chiari all’attualità (inevitabile scorgere nelle lotte di ieri il richiamo alle ingiustizie di oggi) - la condizione femminile a quella della classe operaia (destino comune quello di donne e lavoratori, entrambi oppressi), Susanna Nicchiarelli con «Miss Marx» (in concorso all'ultima Mostra di Venezia) rievoca la figura di un’attrice non protagonista della Storia, impegnata in prima linea nella battaglia per una società migliore ma tormentata dall’amore per un uomo di scarso talento che ne dissipò il patrimonio. Molto efficace nell’anacronistico contrappunto punk (con la musica «ribelle» sparata a tutto volume tra arredi e costumi fine ‘800), al film, colto e un po’ compassato, manca in realtà un po’ di elettricità, quella scossa che ne poteva determinare un destino differente, un esito più compiuto. Ma in questa storia senza tempo, «sul conflitto tra ragione e sentimento - come spiega l’autrice -, su quanto la forza delle nostre idee e convinzioni si possano sbriciolare davanti alla sfera emotiva», la Nicchiarelli trova, oltre a un bel finale, inquadrature di forte impatto (la sequenza dei capelli - che avrebbe forse dovuto aprire il film -, il ballo scatenato) con il limite di non riuscire sempre a dare loro il giusto ordine per fornire alla vicenda maggiore spinta e tensione emotiva così da legarci, per due ore o per sempre, a una donna vittima della sua stessa sensibilità.
Il gioco delle coppie: l'amore al tempo degli e-book
<E' un po' come in "Luci d'inverno" di Bergman: il prete continua a dire messa anche se la chiesa è vuota>. Leggere? Forse è ormai è solo una questione di fede... Ma mai come questa volta, perlomeno, il dibattito è aperto: merito dell'attualissimo film-saggio di Olivier Assayas che ne <Il gioco delle coppie> (brutto titolo che restituisce poco dell'originale <Doubles vies>) riflette a voce alta sulla rivoluzione digitale: la vita al tempo degli e-book, tra vita reale o solo percepita, scontri generazionali, il ruolo dei critici e quello degli algoritmi. Un film denso e scritto benissimo, costruito su una fitta serie di dialoghi e incontri, dove il regista di <Sils Maria> incrocia abilmente l'analisi (preoccupata e preoccupante) di un cambiamento epocale con un girotondo sentimentale che si rivela spesso anche molto divertente. I limiti della scrittura, che il cuore forse non conosce: chi vuole l'arte gratis, chi solo un'altra donna.
Nella storia del responsabile di una casa editrice alle prese con le difficoltà sempre più crescenti del mercato dei libri, Assayas, con la corale complicità di un gruppo di interpreti affiatati (tra Canet e la Binoche, è il buffo Macaigne quello che ne esce meglio), guarda alle conseguenze che le nuove tecnologie hanno avuto sulle nostre vite, prima che tutto cambi affinché ogni cosa rimanga uguale. Cinema intellettuale, radical chic, colto, borghese: ma felicemente immerso nella contemporaneità. E capace di (auto?) ironia.
Fronte del palco: Lady Gaga, A star is born
Ci sono loro: che non è poco. Perché lei è una diva assoluta, una tipa da milioni di dischi, che per la prima volta si mostra al naturale, struccandosi persino l'anima, scoprendosi bellissima anche se non la è davvero, priva, finalmente, di quei quintali di accessori, di tinte, di costumi. E perché lui è quello di <Una notte da leoni>, ma anche di <American sniper> e de <Il lato positivo>, tre nomination all'Oscar, nonni italiani, una figlia con la super model Irina Shayk e il desiderio di mettersi in gioco, senza spocchia, anche come regista. E poi c'è la musica: e quella sì, conta. Fronte del palco, live, struggente come una ballata country oppure acclamata e cantata all'unisono come una hit del momento. La musica che è ovunque, che è dappertutto: partitura sentimentale con cui dare un senso allo sgualcito pentagramma della vita.
C'è tutto questo in <A star is born>, il filmone romantico e disperato che segna il doppio debutto (lui alla regia e lei nel cinema, con un personaggio che ha più di qualcosa di autobiografico) di Bradley Cooper e Lady Gaga: ma, a dire il vero, è anche un po' tutto qui. Nella chimica (sexy, empatica) che si innesca tra i due protagonisti (e allo stesso modo tra gli interpreti, chiamati a darsi reciprocamente fiducia), nelle canzoni (tante e alcune molto belle: le nostre preferite sono <Shallow>, <Always remember us this way> e <Maybe it's time>), nella love story da consumare e bruciare sulla via del successo.
Remake del remake del remake di un film che già di per sè si ispirava al mito di Pigmalione, il <nuovo> <A star is born> (l'originale è addirittura del '37, la versione più famosa è quella con Judy Garland del '54, la più recente e riconoscibile quella del '76 con Barbra Streisand) ha sicuramente i crismi del successo annunciato (e negli Usa qualcuno già parla di Oscar...), ma al di là di un bell'approccio iniziale (più personale della seconda parte, meno riuscita) fatica onestamente a imporsi per scrittura, non riuscendo a fornire originalità a una rappresentazione in realtà piuttosto convenzionale.
Nella storia di un cantante alcolizzato che lancia nello showbiz una ragazza che non crede in se stessa, innamorandosene e facendone una star, destinata poi a osservare, nella sua irresistibile ascesa, il declino dell'altro, Cooper (convinto giustamente da Lady Gaga a cantare con la sua voce anche se l'ultima volta che si era esibito era ancora al college...) maneggia un soggetto iconico (una scelta rischiosa, ma anche <di difesa> in un certo senso), un melò senza tempo: ma in diversi passaggi il suo film appare frettoloso (nonostante i 135 minuti di durata), là dove il cuore della pellicola avrebbe dovuto invece essere più maledetto, più tossico, più vissuto. Oltre che più fondo. E così, alla fine, più che il Bradley Cooper regista è Lady Gaga attrice a lasciare il segno: è nata una stella. Ma non da oggi.
Mostra del cinema: la pagella dei film
Dopo avere votato una decina di film presenti a Venezia (vittoria di Roma) , ecco, a bocce ferme, le valutazioni di altri dieci film in concorso e non.
LA PROFEZIA DELL’ARMADILLO 6,5
Zerocalcare alla prova del cinema: si ride e il cameo di Panatta vale più di una vittoria a Wimbledon. Non tutti i momenti malicomici sono risolti, ma meglio un giorno da armadillo che cento da leoni.
VOX LUX 7+
Un film post traumatico sul XXI secolo e sulla perdita dell’innocenza di un’America che ha deciso che il passato puzza. Ma scopre che il presente non è meglio. Inizio fantastico.
UNA STORIA SENZA NOME 4,5
Sceneggiatura metafilmica ai limiti dell’imbarazzante: il mix tra thriller e commedia è molto fragile e tra gli interpreti si salva a malapena il solo Carpentieri.
AT ETERNITY’S GATE 6
Van Gogh secondo Schnabel: l’uomo prima del mito, in un’operazione un po’ modaiola che però resta lontana dalle trappole del biopic più tradizionale.
CAPRI-REVOLUTION 6
Nel confronto di utopie differenti, Martone chiude la sua trilogia sull’Italia: un film profondamente contemporaneo anche se un po’ troppo estetizzante.
I VILLEGGIANTI 4,5
La Bruni Tedeschi riannoda il filo dei ricordi e procede sulla falsariga dei suoi film precedenti: realtà “aumentata” e mistificata, ma qui la sceneggiatura è davvero debolissima.
DRIVEN 6,5
Ne ha un po’ di “Barry Seal”, ma l’amicizia tra il genio, slirato, delle auto e l’informatore, cialtronesco, dell’Fbi ha ritmo e più momenti paradossali e divertenti.
MANTA RAY 7,5
Un uomo che non parla, che ne sostituisce un altro, una donna che torna, la foresta e il mare: un film ipnotico e suggestivo, il vincitore di Orizzonti che avrebbe meritato il concorso.
THE NIGHTINGALE 5,5
Se n’è parlato più per le offese ricevute dalla regista che per il film in sè: che un revenge movie ambizioso che si sfalda però via via e si diluga eccessivamente.
OPERA SENZA AUTORE 6--
Voto un po’ generoso, perché la matrice televisiva è quasi insopportabile: peròil melò “che non distoglie lo sguardo” si scopre appassionato nel celebrare la nemesi dell’arte.
Mostra del cinema: i voti ai film di Venezia
Mentre la Mostra del cinema è ancora in corso diamo i voti ad alcuni dei film principali presentati.
FIRST MAN 7,5
Chiedi la Luna: per la serie partire col piede giusto. Quello di Armstrong. Umano troppo umano, un film sulla morte proteso alla rinascita.
THE FAVOURITE 8
Uno dei film migliori: Lanthimos porta il suo cinismo caustico nel ‘700 inglese. Dove il potere è donna e l’ambizione recita a soggetto.
ROMA 7,5
Cuaron torna a casa per un personalissimo Amarcord in un bianco e nero. Un film pieno di affetto e riconoscenza. E amarezza: che non vince però la speranza.
A STAR IS BORN 5,5
Bella la chimica tra Lady Gaga e Bradley Cooper (qui anche regista) ma il film, remake di altri mille, è di scrittura frettolosa. Ma può incasssre bene.
NON FICTION 7
Tra rivoluzione digitale e girotondi sentimentali in attesa che tutto cambi perché tutto rimanga uguale. Un raffinatissimo Assayas capace anche di ironia.
SUSPIRIA 7
Un non remake esteticamente bellissimo, un film politico e seducente sul corpo e sul suo linguaggio ambientato in un cruciale ‘77. Peccato per il finale grand guignol.
TRAMONTO 8
Nemes gratta con le unghie la vernice della Storia: per osservare da vicino la dissoluzione di un’Europa ieri come oggi sull’orlo del precipizio. Giù il cappello.
PETERLOO 5,5
Leigh non sbaglia una faccia, ed è bravissimo nel risuscitare pittoricamente la Storia, ma avrebbe dovuto essere decisamente più audace e conciso.
THE BALLAD OF BUSTER SCRUGGS 5,5
I Coen non al loro meglio: sei raccontini western, con qualche ideuzza divertente, ma per lo più storielle in saldo. Manca il Grinta: e la grinta.
THE SISTERS BROTHERS 7
Nel vecchio West, inatteso, c’e anche Audiard: tra uomini capaci di uccidere un orso ma tentati dal dentifricio. Bella scrittura, John C. Reilly da premio.