Apples, la pandemia della memoria: siamo fatti di quello che non dimentichiamo
“Siamo fatti di quello che non dimentichiamo”. C’è una pandemia, un virus, ambulanze che sfrecciano, ospedali pieni: sì, anche sullo schermo. Solo che stavolta il Covid non c’entra. Qui non manca il respiro: ma la memoria. Che perderla è un attimo: e non c’è cura. Accade in un bel film greco, girato in 4/3 (formato Polaroid come quelle che il protagonista è costretto a scattare) e diretto dall’ex aiuto regista di quel geniaccio di Yorgos Lanthimos: un’opera prima, «Apples» - su MioCinema - che fotografa una società che insieme ai ricordi perde fatalmente anche se stessa. Preferendo dimenticare piuttosto che soffrire: là dove invece solo chi accetta di riconciliarsi col proprio dolore salva e conserva la sua identità, ritrovando il suo io smarrito. Debutto solo apparentemente freddo (le note malinconiche sanno essere struggenti) ma in realtà promettentissimo e potente di Christos Nikou, «Apples» (il titolo fa riferimento alle mele che mangia il protagonista), passato da Venezia 2020, ci conduce in un presente angosciante dove un virus provoca amnesie collettive: le persone improvvisamente dimenticano chi sono. Se con sè in quel momento non hanno documenti o nessuno (mogli, parenti, amici) in seguito le «reclama», vengono inserite dai medici in un programma di recupero dove potersi costruire, prova dopo prova, esperienza dopo esperienza, una vita nuova... Originale e distopica variazione dell’elaborazione del lutto, il film, ennesima testimonianza dell’ottimo momento della cinematografia ellenica, guarda alla pandemia politica di un mondo che cerca di rigenerarsi attraverso il controllo e il condizionamento, ma non può fortunatamente rimanere impassibile davanti a un bacio in bianco e nero. Bravo nel non scadere nella tesi, Nikou conserva il proprio rigore stilistico senza precludersi momenti toccanti come altri più felicemente paradossali (la festa in maschera, la sequenza, bellissima, del twist), difendendo con «Apples» il diritto e il dovere a una sofferenza che ci contraddistingue (e appartiene) in quanto umani. E che dobbiamo accettare: perché in una società sempre più colpevolmente smemorata il ricordo di chi abbiamo amato è una delle poche cose che può tenerci in vita.