Morto Stalin se ne fa un altro: la farsa del potere
Addamorì Baffone. Ma niente paura: tanto, <Morto Stalin, se ne fa un altro>... Ci si scherza su (e si ride anche parecchio), ma non senza fare balenare, in fondo al tunnel, uno spiraglio di luminosa verità: perché non ha confini temporali né geografici la farsa, tragicomica, del potere. Né tanto meno la riflessione (ghignante eppure serissima) sul destino segnato di chi per arrivare in alto calpesta chiunque: illudendosi di non subire, prima o dopo, la stessa sorte, il medesimo trattamento.
E' una creatura singolare, una scatenata commedia grottesca forte abbastanza da non temere la caricatura, una rivisitazione storico-satirica che abbraccia la denuncia tanto quanto il dileggio, il film di Armando Iannucci, nome italianissimo ma sangue (e umorismo) scozzese: un'indovinata black comedy che mette in scena la clamorosa girandola di intrighi, tradimenti, purghe, complotti e vendette incrociate che si scatenò tra i fedelissimi del dittatore nei giorni immediatamente successivi all'ictus che portò alla morte dell'orco Stalin.
Ispirato alla graphic novel dei francesi Nury e Robin, girato interamente a Londra - dove è stata ricreata l'Urss degli anni '50 – da attori (paradossalmente) anglo-amercani (l'unica ex sovietica è la Kurylenko), <Morto Stalin, se ne fa un altro> azzecca i tempi comici, mostrando, in tutta la sua crudele e atroce miseria, l'assurdità di un regime dove serve il quorum anche per chiamare il medico. Iannucci, complice un gruppo di interpreti affiatati (menzione d'onore per Steve Buscemi) trasforma in commedia la logica paranoica del terrore, non solo non svalutandola, ma restituendone così in maniera ancora più lampante la follia. In un tutti contro tutti dove il potere, come sempre, logora chi non ce l'ha.