Le Mans ‘66: il giro perfetto in cui tutto svanisce
Rassegnatevi: questo giro di pista i cattivi siamo noi. Quelli che tifano per le Rosse: gli italiani, bravi per carità, ma a volte arroganti, altre un po' fessi. Fatevi un favore, passateci sopra: perché <Le Mans '66> non è Italia-Usa, Ford contro Ferrari. Ma, piuttosto, un film con le palle, rock, epico, sognatore, spettacolare. Che cerca, in ogni istante, ad ogni cambio di marcia, <quel> momento: il momento in cui tutto svanisce. Quando lanciato a più di 300 all'ora, a settemila giri al minuto, nel rettilineo del nulla sarai costretto a chiederti chi sei.
Conosce la mitologia della velocità e del pericolo e l'ossessione, che consuma, della vittoria, la pellicola con cui James Mangold (<Walk the line>, <Logan>) rievoca la storia vera di un'incredibile impresa sportiva: fingendo di farne il peana della grande industria americana per accarezzare invece le gesta eroiche degli ultimi idealisti, uomini veri che si sporcano le mani solo col grasso del motore e alla borghesia del profitto preferirono il coraggio dell'impossibile.
C'è della poesia in quella ricerca del giro perfetto, che accomuna Carroll Shelby e Ken Miles, l'ex pilota che un cuore matto ha mandato ai box e il reduce, super fast, dalla testa calda: insieme cercheranno di dare alla Ford un'auto capace di battere l'invincibile Ferrari alla leggendaria 24 ore di Le Mans...
Virile, appassionante, ostentatamente iconico nel suo carico adrenalinico, il film, seppure tiri un po' per le lunghe (i finali sono almeno tre), coglie la femminilità sexy e prorompente di auto che filma come fossero dive, signorine dalle gambe lunghe con pneumatici e pistoni al posto di tacchi e minigonne: forse <Rush> sembrava più vero, più reale, ma qui la passione non è da meno, così come il fascino vintage di anni rivoluzionari che non torneranno più. C'è, in <Le Mans '66>, il ruggito, il rombo, di un cinema popolare e godibile che non ha paura di schiacciare a tavoletta: anche perché se al volante metti due dei migliori della loro generazione - Christian Bale e Matt Damon -, non parti certo per arrivare secondo.