I morti non muoiono: l’apocalisse pop di Jarmusch
Un film di zombie che non fa paura, girato per lo più di giorno, dove i negozianti nerd indossano la t-shirt di Nosferatu, gli eremiti leggono Melville, Tilda Swinton sembra uscita da (ma forse viene) da Marte e risorge persino (che per il cinema sarebbe pure una bella notizia...) Samuel Fuller. Se apocalisse deve essere, sia almeno pop: perché no, l’America non è più (se mai lo è stato)<a real nice place>. Dopo avere aperto, tra molti applausi ma anche qualche perplessità, il Festival di Cannes l’ironia serafica e dissacrante di Jim Jarmusch arriva sullo schermo con il suo cast all star e un carico di riso amaro.
Eccentrica zombie comedy che si muove tra i luoghi simbolo del cinema di genere (motel, diner, stazioni di polizia, cimiteri...) riempiendo la bocca dei suoi protagonisti con le parole classiche dei b-movie (weird e creepy, bizzarro e pauroso), <I morti non muoiono> che (nell'originale <The dead don't die>) è anche il titolo della canzone del country man Sturgill Simpson che Jarmusch manda in loop facendo perdere le staffe persino a Bill Murray, non è solo la risposta cool e rock alla serie culto <The walking dead>, ma anche il modo in cui il regista di <Ghost dog> e <Paterson> e osserva con disincantata rassegnazione un disastro (il nostro) che le autorità continuano a negare.
Uno spostamento dell’asse terrestre ha conseguenze drammatiche: i morti risorgono e per la piccola e placida Centerville (già cantata da Frank Zappa) - difesa solo da tre poliziotti - sono guai seri. Ultracinefilo, citazionista come nessuno (Romero, certo: ma anche <Psyco> e mille altri), Jarmusch lancia la lenza del metacinema (<Come fai a sapere tutto in anticipo?>. <Ho letto il copione>...), ma risparmia la vita solo a chi rifiuta questo (brutto) mondo: gli altri, anche da morti (viventi), sono condannati a restare per sempre schiavi delle proprie inutili e consumistiche ossessioni: chi vuole un caffè, chi un bicchiere di Chardonnay, chi cerca ancora, invano, il wi-fi... Lo sguardo è politico (il risveglio dei morti è figlio dei cambiamenti climatici...), ma prevale (e qui sta il vero limite del film) il gioco, il paradosso, la giocata di fino. Manca un po’ l’affondo, ma Jarmusch ha il merito di non buttarla in farsa: tra tanti memorabilia, resta intatta l’identità dell’outsider, del sovversivo. Un po’ come i suoi interpreti-amici, complici entusiasti : da Adam Driver (il <Paterson> del film omonimo, che qui si chiama Peterson...) al selvatico Tom Waits (il migliore della banda), passando per l’iconico Iggy Pop, che a vederlo dal vivo fa quasi più paura di quando è truccato da zombie.