La vita invisibile di euridice gusmao: la memoria allo specchio
La memoria è uno specchio smerigliato, confonde i contorni, è fedele, ma è solo il riflesso di qualcosa che è altrove. E' pieno di specchi, ovunque, «La vita invisibile di Eurídice Gusmão»: che mica è facile guardarsi e ammettere a cosa si è rinunciato. E che cosa si è diventati. C'è qualcosa che ha che fare con la nostalgia, anzi con la «saudade», nel bellissimo film (vincitore di «Un certain regard» a Cannes) del brasiliano Karim Aïnouz, con la malinconia di sogni infranti che hanno le mani rovinate e alla sera vanno a letto presto. Forse vi diranno che questo è un film sulla sorellanza, sulla condizione femminile; ma tra le righe di lettere che non arrivano mai a destinazione c'è altro, di più: l'emancipazione di un sentimento, di un'identità, la reminiscenza di un legame che la lontananza non può cancellare.
Nella Rio dei primi anni '50, dove «la famiglia non è sangue, ma amore», le vite parallele di due sorelle separate a forza. Una scappa con un marinaio e torna incinta: il padre la ripudia e le impedisce di contattare l'altra. Che non smetterà mai di cercarla... Storia d'amore, dove l'amore in pochi sanno darlo: un grande ritratto intimo esaltato da una fotografia satura di colore e di passione, una grana quasi magica giocata a contrasto con una vita (il sesso, spiccio e violento, la fatica, le umiliazioni) al contrario spesso cruda, mai giusta. Si pensa a «L'amica geniale», ma poi ce ne si dimentica. Scoprendosi veri uomini solo alla fine, quando sgorgano le lacrime.