La lezione di Jannik, il ragazzo che non molla mai
C' è un momento che li contiene tutti. L'istante in cui abbiamo capito. È un attimo, un secondo: quello in cui il figlio, il fratello e l'amico che avremmo voluto sempre avere lancia la pallina in aria, ma non la colpisce. È sotto 0-40 in Coppa Davis contro il numero uno del mondo, il mostro Djokovic: che ha tre match point. Il ragazzo con i capelli rossi deve servire per restare in vita, per rimanere in partita; ma tutti, a quel punto, lo sanno: non può farcela. Si è battuto con coraggio, ma è spacciato: non c'è una sola possibilità, non una sola, che quello smilzo 22enne a cui piace sciare ribalti la situazione. Anche perché nessuno ha mai rimontato Djokovic con tre match point consecutivi a sfavore: nessuno. E poi c'è quel gesto, il segno della resa: la pallina lanciata in alto lasciata cadere senza colpirla: in qualche universo parallelo sono sicuro che la partita è finita lì. E invece. Invece Sinner quei tre match point li annulla tutti, uno dopo l'altro. Non solo: vince anche il game. E la partita. E poi, sull'onda dell'entusiasmo, anche la Coppa Davis. Realizza l'impossibile: rende reale quello che da questa parte dello schermo è solo sogno, fantasia. Gli è capitato anche ieri: va sotto 2 set a zero contro Medvedev, russo «noioso» che in bacheca ha, per dire, il trofeo degli Us Open. Nelle case si recita già il requiem, qualcuno spegne la tv e va a fare colazione. Ma Jannik è fatto così: non ci sta. Perché sa - come sosteneva il campione di un'altra disciplina che si pratica con il guantone e non con la racchetta - che non è finita finché non è finita. È la lezione, la testimonianza, che questo ragazzo che ringrazia i genitori perché «mi hanno permesso di scegliere la mia strada» (capito, gente?), lascia alla sua generazione, ma anche a tutti gli altri: non mollate mai, non gettate la spugna. Qualunque sia il vostro «match» non uscite dal campo. Non c'è un altro tempo per battersi: perché il tempo è questo. Ed è dalla parte di Sinner.