Mommy: l'immagine è stretta, ma il talento grande
Fatemi una cortesia: non protestate contro il proiezionista. E' vero, l'immagine è stretta. Molto stretta. Ma non è un errore: è voluto. E' un'idea: o, se preferite, una provocazione. O meglio ancora la firma in calce di un ragazzino di 25 anni (ma già 5 film alle spalle) che ha una concezione maledettamente pop (come la musica che spara a tutto volume) dell'espressione cinematografica.
Lo ha girato Xavier Dolan, l'enfant prodige del cinema canadese (suo anche l'interessante «Tom à la ferme» ingiustamente ignorato l'anno scorso a Venezia), il film più bello e originale visto a Cannes 2014: il sovraeccitato ritratto di una famiglia disfunzionale che il giovane regista ha diretto con grande intensità ed energia, trasformando una complessa storia d'amore tra madre e figlio in una sorta di nevrotico - eppure inaspettatamente equilibrato - triangolo «sentimentale» dove, oltre la mommy del titolo (Anne Dorval, bravissima), vitale panterona con i jeans stretti sul sedere e il figlio, impulsivo e violento, appena tornato a casa da un centro di correzione, si inserisce la bella vicina di casa, insegnante con un dolore fondo mai davvero superato e una balbuzie evidente.
Tre personaggi molto ben disegnati a cui il film, scritto e montato con personalità dallo stesso regista, regala dialoghi (e torpiloqui) serrati e a tratti pirotecnici intervallati da esplosioni di violenza incontrollata. Tra una versione stonatissima di «Vivo per lei» di Bocelli e alcune usuratissime hit usate anche con ironia in senso narrativo, Dolan lascia il suo segno costringendo, come detto, buona parte del film in una parte ridotta dello schermo, dove l'immagine - claustrofobica - viene rinchiusa (alla faccia del 16:9 del salotto buono) nel formato 1:1: piccola e singolare porzione del tutto, in cui il 25enne autore può comprimere, ammassare e stringere (rendendoli così più insofferenti, soffocanti e insopportabili) sentimenti ed emozioni, allargando poi il tiro, il respiro e lo schermo (in una sequenza che a Cannes - dove Dolan ha vinto il premio della giuria ex aequo col mito Godard - scatenò l'applauso a scena aperta) nei momenti invece dove la storia tocca più da vicino una non utopica serenità. Non solo un vezzo d'autore, ma una soluzione stilistica che ha le sue, condivisibili o meno, ragioni: che vi piaccia o no, ha carattere il ragazzino. E noi siamo con lui.