Marguerite, la donna che canta. Malissimo. (ma il film è bello assai)
Era appassionata, ostinata, sicura di sè: amava il palco e Verdi, Wagner e Bizet per lei non avevano segreti. Sì, aveva tutto per essere la più grande soprano della Storia: peccato che fosse terribilmente - seppur <divinamente> - stonata...
E' un personaggio bellissimo, tragico e meraviglioso, di sublime, sfrontata, ma inconsapevole mediocrità, appassionato e indifeso, travolgente e unico, quello del film bello e crudele che il francese Giannoli (tenetelo d'occhio, ha fatto cose molto belle e poco conosciute come <Corpi impazienti> e <A l'origine>) ha girato come un'opera lirica in cinque atti, raccontando la storia incredibile (ma vera) di una ricca nobildonna innamorata della musica che (soprattutto per attirare l'attenzione di un marito <distratto>) si esibì come soprano senza che nessuno avesse mai il coraggio di dirle che la sua voce era orribile.
Ispirata a fatti realmente accaduti (Giannoli si limita a trasferire l'azione dall'America degli anni '40 - dove si esibiva la terribile Florence Foster Jenkins, a cui darà stridula voce Meryl Streep in un biopic prossimo venturo di Stephen Frears - alla Francia dei ruggenti anni '20), grande, e originale (nei contenuti se non nella forma) riflessione sul talento (anche quando non c'è) e sull'arte, che è l'unica <realtà> in grado di andare oltre ogni ipocrisia, <Marguerite> mette in scena la grande farsa dell'aristocrazia, il patetico teatrino della menzogna perbenista, trasformando il canto inascoltabile di quella donna troppo sola in un grido di libertà capace di squarciare non solo i timpani ma anche il paravento di un mondo che vive solo di convenzioni.
C'è qualcosa di potente, di complesso e di rivoluzionario in quel suo grottesco fallimento annunciato: la condanna del desiderio (<non si bara con la musica, se no lei si vendica>) e la fragilità dei sogni certo, ma anche, soprattutto, la necessità, ineluttabile (comune a tanti, forse a tutti), delle illusioni.
Interpretato da una bravissima Catherine Frot (che avrebbe meritato la Coppa Volpi di Venezia almeno quanto Valeria Golino), la pellicola – che vi invita a tapparvi le orecchie ma a lasciare spalancata la porta del cuore - mette dentro alla storia un po' troppi personaggi di contorno (che restano sfumati) e dura una ventina di minuti in più (nonostante Giannoli abbia in corso di montaggio sforbiciato molto) del necessario: ma resta un film di grande spessore, di forza forse incompresa. Anche perché prima che il palco diventi patibolo coglie la scomoda verità di un inganno universale.