Joy, se il sogno americano spazza via le delusioni col mocio
Cenerentola ha le idee chiare: <Non mi serve un principe>. Non vuole andare al ballo: piuttosto si accontenterebbe di pulire il bagno con facilità. In fondo, lo ha sempre saputo: per diventare principessa non ha bisogno di un cavaliere senza macchia, ma solo di se stessa. E di una scopa che spazzi via le malignità e le invidie di matrigna e sorellastra. Gran narratore delle dinamiche familiari, meglio se disfunzionali (da <The fighter> a <Il lato positivo>), un debole riconosciuto per le donne audaci (vedi <American hustle>) a cui anche questo film è dedicato, David O. Russell torna a raccontare il Paese <dove l'ordinario incontra lo straordinario ogni giorno>, celebrando – con un gusto tutto suo - l'ostinazione di un sogno americano più forte di ogni fallimento. Come nella storia (vera e vissuta) di Joy Mangano, la donna che inventò il mocio. Una che è partita con una madre teledipendente, un padre restituito dalle amanti come fosse un oggetto difettoso e un ex marito parcheggiato nel seminterrato: e un sacco di debiti. Roba che un giorno le hanno portato via anche la casa: e quello dopo si è ritrovata a guidare un impero da dieci milioni di dollari l'anno grazie alla sua <Miracle Mop> usata da tutte le casalinghe...
Esegeta di una vita sempre e comunque a ostacoli, cantore ironico della rivincita, O. Russell costruisce l'umanissima leggenda di una self made woman stanca che i suoi sogni fossero sempre in lista d'attesa rileggendo la sua avventura esistenziale con lo stile della soap opera, grazie a tocchi surreali che non faticano a fare breccia in un'America da Falcon Crest, ipnotizzata dalla propria mediocrità e dalle prime televendite.
E' il punto di forza di un film a cui manca un po' la scintilla, ma che d'altra parte azzecca tende e carta da parati quando fa il make up alla realtà, ammorbidendo, almeno stilisticamente, i contorni di un passato che vorrebbe invece mostrarci solo gli spigoli. Frullati i generi (<tra “Anna Karenina” e “Dallas” non c'è poi tutta questa gran differenza>, ha detto il regista...), O. Russell romanza il biopic e allontana l'happy end per divertirsi sulle montagne russe (perché sì, le porte in faccia sono più dei sorrisi) del melò: e anche nei momenti più spenti, trova nella fedelissima (ma sono della partita anche gli immancabili Bradley Cooper e Robert De Niro. E la new entry Isabella Rossellini) Jennifer Lawrence, candidata all'Oscar (è la quarta volta ad appena 25 anni: non so se mi spiego), una splendida e tenace protagonista. Un'attrice capace di usare il mocio con la stessa naturalezza con cui impugna l'arco in <Hunger games>: e che quando si guarda allo specchio nel riflesso fissa anche la sua anima.
50 sfumature di grigio: se Cenerentola si fa prendere a sculacciate
Innanzitutto un'avvertenza: una volta tornati a casa resistete alla tentazione di imitare i due protagonisti. Che è un attimo poi leggere sui giornali di casalinghe (ovviamente disperate) salvate dai vigili del fuoco perché il marito non riusciva più a liberarle da lacci, lacciuoli, cravatte e catene. O di attempate signore che, sfidando intrepide la menopausa, si procurano un trauma cranico perché con una benda sugli occhi hanno centrato in pieno lo stipite della porta. Sì, insomma: <50 sfumature di grigio> è un film <pericoloso>. Che una magari per San Valentino si aspetta il braccialetto (sì dai: magari anche quello col nome) e le arrivano in regalo le manette...
Ma com'è quindi l'ultra attesa traduzione per lo schermo del romanzo porno chic a sfondo erotico/rosa da oltre cento milioni di copie vendute? Un film, a dirla tutta, più esplicito che sfumato, ma anche improbabile e noioso: una saga patinata e sado-demenziale che è molto più vicina a <Pretty woman> che non a <Nymph()maniac> (o a <Histoire d'O>). Tanto che per le oltre due ore di durata ti chiedi se i due amanti tira e molla (ma pure la regista, Sam Taylor-Johnason, una pallida smagrita con fama di cougar) abbiano mai visto <Lezioni di piano> o, almeno, <9 settimane e mezzo>.
Per carità, non è che manchi l'abc, ma la storia costruita sull'archetipo (rivisitato in chiave, si fa per dire, <hard>) della bella e la bestia – con l'eroina che da brutto anatroccolo cerca di trasformarsi, a forza di sculacciate, in Cenerentola e il milionario fascinoso dal passato oscuro riscattato dall'amore – non è che sta molto in piedi. Anche perché i due personaggi faticano a rendere credibile anche un caffè al bar. Lei, Anastasia (Dakota Johnson, figlia di Don Johnson e Melanie Griffith), studentessa vergine con guardaroba da maria pentita, si morde il labbro come se ne avesse uno di scorta: poi un giorno incontra lui, Mr. Grey (Jamie Dornan della serie <The Fall>), che è molto tutto (elegante, seducente, ricco), e freme come nemmeno una tifosa del Napoli al cospetto di Maradona. Il problema è che lui nella stanza dei giochi non tiene la Playstation e che più che una fidanzata cerca una schiava da sottomettere: mentre la nostra, nel suo piccolo, si accontenterebbe di andare ogni tanto fuori a cena...
Ti cambio io che mi cambi tu, si arriva a un finale apertissimo (all'inevitabile sequel, soprattutto) con la fastidiosa sensazione di un film poco appassionante e coraggioso che, con ipocrisia tutta americana, cerca affannosamente alibi e giustificazioni alle perversioni del protagonista, libero sì, ma solo di essere <riabilitato>. Per la serie che se c'è qualcuno da prendere a scudisciate è la sceneggiatrice...