Gli spaghetti, Mastroianni, Fellini e Scamarcio: le mille vite (e rimpianti nessuno) di Claudia Cardinale
Nella casa di Parigi il telefono non smette un momento di squillare: <Abbia pazienza, oggi mi chiamano tutti: sa, è il mio compleanno...>. Lo dice così, prendendoti con dolcezza in contropiede: e a te che sei dall'altro capo del filo non resta che fare gli auguri a madame Claude. Proprio a lei, <la più bella invenzione italiana dopo gli spaghetti>, come la definì David Niven (suo compagno sul set de <La pantera rosa>): una che ha ballato con Burt Lancaster e tenuto testa a Klaus Kinski, è stata la musa di Visconti e pure di Fellini, ha cominciato interpretando la sorella di Tiberio Murgia, è stata (sempre nella finzione) la moglie di Mastroianni e, adesso, nel suo ultimo film, si ritrova addirittura mamma di Scamarcio. Diva vera e assoluta, mito del cinema internazionale, grande signora - gentilissima ed entusiasta - dal sorriso che ancora conquista: in due parole, Claudia Cardinale. Che dopo avere appena presentato a New York (<dove c'era un freddo terribile...>) <Effie Gray>, pellicola in costume che ha girato a Venezia, volerà a Parma per partecipare, il 24 aprile al Teatro Regio, alla serata in suo omaggio, presenziando alla proiezione de <La ragazza con la valigia>, realizzato proprio nella nostra città 55 anni fa. Non prima però di aprirci il suo scrigno pieno di preziosi aneddoti, parlando di tutto a ruota libera, da quell'ultima cena, per terra, con Valerio Zurlini a quella volta che Rita Hayworth, la mitica Gilda, entrò nel suo camerino e scoppiò a piangere: <Anch'io – mi disse – un giorno sono stata bella>...
Che ricordo ha de <La ragazza con la valigia>?
<Per me resta un film straordinario: così come stupendo fu l'incontro con Zurlini. Pensi, mi regalò un quadro del '600 che raffigura una Madonna col bambino in braccio: l'ho sempre con me. C'erano attori formidabili in quel film: Jacques Perrin, che allora sembrava un bambino, Gian Maria Volontè al debutto, Romolo Valli... Un cast incredibile. Non molto tempo fa l'ho rivisto insieme a Perrin: ci siamo commossi. Mi ricordo ancora benissimo la scena in cui scendo le scale con l'asciugamano in testa e lui mette la musica di Verdi, l'<Aida>: non improvvisammo nulla, era tutto scritto nel copione. Zurlini aveva una cultura immensa...>.
Era la Parma del 1960...
<Una città meravigliosa, sono molto felice di tornarci: è un po' che non ci vado. E poi da voi si mangia pure bene... E' davvero un piacere tornare al Regio: spero di trovare tanta gente, anche i giovani che forse <La ragazza con la valigia> non l'hanno mai visto. Ne vale la pena, il film se lo merita>.
Il film di Zurlini ha rappresentato una tappa importante della sua carriera: con lui poi rimase grande amica.
<Sì. Ricordo con grande tristezza che prima di andarsene mi chiamò a casa sua: non c'era più nulla, l'appartamento era vuoto, svaniti i quadri, i mobili, tutto. Abbiamo mangiato per terra, poi mi ha detto: “Ti voglio tanto bene”. Pochi giorni dopo è morto. Era un uomo straordinario: mi dispiace che in Italia lo abbiano un po' dimenticato, in Francia è ancora molto amato>.
Lei ha girato con tutti i più grandi: come c'è riuscita?
<Ho avuto la fortuna di arrivare nel momento magico del cinema: ho cominciato con Monicelli, poi sono arrivati Visconti e Fellini...>.
E com'erano?
<Agli opposti, molto diversi tra loro: con Visconti era come fare teatro, tutto era preciso, già deciso prima. Con Fellini invece era tutta improvvisazione, non c'era nemmeno il copione>.
Ha girato anche con grandissimi attori: Mastroianni, ad esempio.
<Abbiamo fatto tanti film insieme; mi ricordo che per “Il bell'Antonio” poverino non poteva nemmeno uscire dall'albergo: i siciliani non accettavano che interpretasse il ruolo di un loro compaesano impotente>.
E' vero che si innamorò di lei?
<Sì, è così: si innamorò di me, ma io non ci sono mai caduta...>.
Ha lavorato anche con moltissimi divi stranieri: chi ricorda più volentieri?
<Sono tanti: Delon, Belmondo, Rock Hudson... E quelle lacrime della Hayworth: io interpretavo sua figlia (ne <Il circo e la sua grande avventura> di Henry Hathaway e con John Wayne, ndr) e mi stavo truccando in camerino. Ero poco più di una bambina e lei era di una bellezza incredibile, era davvero ancora stupenda: eppure non si vedeva più così>.
Ha qualche rimpianto signora Cardinale?
<No, nessuno: sono nata in Tunisia, ho fatto l'attrice per caso. Io volevo fare l'esploratrice: in un certo senso ci sono riuscita, grazie al cinema ho visto tutto il mondo. Sono arrivata a 151 film e continuo a girare. Ho appena presentato in America <Effie Gray>, un film scritto da Emma Thompson: è solo una partecipazione, interpreto la madre di Riccardo Scamarcio. Ma continuo a fare film, non mi fermo. Perché? Perché invece di vivere una vita sola in questo modo ne vivo tantissime>.
Ritorno a Parma: quando la Cardinale era la ragazza con la valigia
I ragazzini con le braghe corte si nascondevano sul Lungoparma, dietro le piante o sulle panchine, a ingannare il caldo e l'attesa. Dicono che lì davanti al Jolly Hotel, in quel 1960, andassero in tanti: solo per vederla uscire, appena in tempo per strapparle un sorriso. O magari per sospirare davanti al suo ineguagliabile broncio. Lei, Claudia, che era nata Claude, passeggiava per Parma che sembrava quasi volasse: bella da far male, di anni ne aveva appena 22, ma aveva già lavorato con Monicelli, Germi, Visconti e Bolognini. I maestri, insomma. Non lo sapeva allora, ma il meglio, per quanto potrebbe sembrare incredibile, doveva ancora venire. Ci volle un incontro: quello con Valerio Zurlini, regista grandissimo e discreto (e assurdamente, forse proprio per questo, in qualche modo dimenticato) che la scelse, raccontano, contro il parere di molti, forse di tutti. Dando in regalo a questa italiana di Tunisi a cui l'accento francese increspava le parole un ruolo difficile, complesso, vitale ma «disperato» anche nella sua tenerezza, nella sua, amara, verità: quello che può trasformare un'immagine su uno schermo in una grande attrice.
Mica è facile dire o stabilire quand'è che una ragazza che non voleva fare cinema e alla fine si è ritrovata a girare più di 100 film diventi una diva, volto, cuore e motore della stagione più gloriosa ed emozionante del cinema italiano: ma se un momento c'è stato, se un istante va fissato, allora è successo lungo la via Emilia, in quel capolavoro di architettura neoclassica che è Villa Tedeschi, quando di fronte non c'era l'insegna del McDonald's ma era davvero - come si dice - tutta campagna. A Claudia basta scendere le scale: celeste Aida in accappatoio bianco, in testa un asciugamano che sembra un turbante. Colpo di fulmine, coup de foudre: di lei si innamora Jacques Perrin, il sedicenne Lorenzo, ma con lui anche milioni di italiani. Ancora adesso, che basta guardarla quella scena per capire che è lì che cambia tutto: che quell'accappatoio bianco non avvolge più solo una giovane e splendida donna, ma anche una star.
La stessa che a 54 anni di distanza dalla mitica prima al Teatro Regio de «La ragazza con la valigia» (un classico che figura tra i 100 film italiani da salvare...) tornerà ora, il 24 aprile per l'esattezza, nel tempio della lirica per rivivere e rivedere - in un'affascinante e suggestiva serata di gala color nostalgia - il film che l'ha resa famosa. Una notte-evento tutta per lei, Claudia Cardinale, mito vero del cinema di tutti i tempi: e per i parmigiani, pronti a riabbracciare (non più in calzoni corti ma in abito scuro) quella ragazza col sorriso aperto che nella valigia ora porta un mare di ricordi, premi, storie.
E dire che accadde davvero tutto per caso: come nelle migliori occasioni. Nata a Tunisi da genitori siciliani, la Cardinale a 17 anni vince un concorso di bellezza a cui nemmeno si era iscritta: la vedono nel retropalco, le mettono la fascia e tanti saluti. Il premio è un viaggio a Venezia, durante la Mostra del cinema: un giorno al Lido va in spiaggia in bikini e si scatena il caos. Fotografi, interviste, caccia alla bellezza misteriosa: le chiedono se è lì perché vuole fare del cinema e lei risponde che non ci pensa nemmeno... Le cose vanno diversamente, però: la sua straordinaria fotogenia non passa inosservata. Ha un volto che buca, un sorriso che conquista: la convincono a frequentare il centro sperimentale. A Roma scopre tante cose: anche che sul bus è in voga la mano morta... Ma non è una che le manda a dire: sul set del suo primo film - «I soliti ignoti» -, dove interpreta la bella Carmelina, segregata in casa dal gelosissimo fratello, rifila un pugno in faccia a Renato Salvatori andando un bel po' oltre il copione. «Ero un maschiaccio - dirà poi -, assolutamente aggressiva: e ancora non capivo una parola d'italiano». Ma va bene lo stesso: la vogliono tutti. Mastroianni si innamora perdutamente di lei (e si becca un due di picche), Visconti la dirige in «Rocco e i suoi fratelli», i francesi, ammirati, la chiamano CC in contrapposizione alla loro amatissima BB.
Sono gli anni '60, quelli del boom e del grande cinema: e la Cardinale i film che contano e restano, li fa praticamente tutti. Da «Il gattopardo» a «La ragazza di Bube», da «Il giorno della civetta» a «C'era una volta il West», dove Leone la consegna alla mitologia del cinema. Passando, naturalmente, prima, per Parma. L'incontro con Zurlini è fondamentale: «Mi capiva da uno sguardo. Mi ha insegnato tutto, senza impormi niente». La Cardinale non si ferma più: lavora con Fellini (in «Otto e mezzo» per la prima volta non recita doppiata), Zampa, Ferreri. E sul set de «I guappi» incontra Pasquale Squitieri: sarà (dopo la lunga relazione con Cristaldi) un grande amore. La ragazza ora è nonna, ma la valigia è sempre pronta: salta ancora da un set all'altro, si dà al cinema con generosità. E nella sua risata che profuma di leggenda c'è un mondo intero: e il segreto di chi ha vissuto davvero.