2022, Recensione Filiberto Molossi 2022, Recensione Filiberto Molossi

Dante, il giovane favoloso che sapeva il nome vero delle stelle

Non il Sommo, ma l'esule, l'innamorato infelice, il rifiutato, il dimenticato, «traditore» a sua volta tradito, senza averi, né perdono né patria, che non fosse la sua straordinaria poesia. Sta (giustamente) lontano dal mito, quello ingessato dell'interrogazione di italiano alla terza ora, e cerca - nei tormenti del giovane favoloso che sapeva il nome vero delle stelle - l'uomo, il disperso, lo sconfitto, facendone il personaggio non comune dell'umana tragedia, che qualcuno, non senza ardire, definisce «commedia».

Forse, a questo punto, la vera provocazione sarebbe stata quella di fare un film su Dante senza Dante: l'inchiesta su un sepolcro vuoto, il mistero incomprensibile di un talento senza uguali, l'indagine sui tasselli mancanti di quel mosaico incredibile e perfetto. Avati, che questo sogno - con ambizione e determinazione - lo ha inseguito a lungo e per lungo tempo cercato, non arriva a tanto: ma gioca comunque di sponda, non lasciandosi condizionare eccessivamente dal biopic wikipedistico, per lasciare piuttosto il «caso Alighieri» nelle mani ferite e umiliate dalla scabbia (come fossero le scomode stimmate della santità della poesia) di un riconoscente Boccaccio.

E' l'approccio giusto di un film anche toccante che viaggia nelle lande a volte desolate della memoria, tra le tracce di un'arte, che per quanto immensa, è di per sé stessa, sempre mendicante. Ma che d'altra parte ha anche zavorre pesanti (la voce off, che lo rende inutilmente didascalico), inciampi e stonature evidenti (Beruschi doppiato, la sequenza onirica che ha per protagonista Beatrice, altrove invece magnetica), volti deturpati più dalla chirurgia plastica che dalla peste. Problemi che l'84enne regista bolognese prova, pur con eccessiva prudenza, a superare con la sincerità e il trasporto dell'operazione, la prova partecipata degli interpreti (Sergio Castellitto è Boccaccio, ma ci sono anche i nostri Mauro Coruzzi, nella parte di un monaco, e Alberto Petrolini), le intuizioni (il dipinto che prende vita) stilistiche e pittoriche. Nella consapevolezza che - nel silenzio e nella solitudine di Dio -, non è solo l'amore, ma è anche il poeta, l'artista, il visionario, che «move il sole e l'altre stelle»

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Filiberto Molossi Filiberto Molossi

Paterson, l'anima pura delle piccole cose

 <Sono solo parole scritte sull'acqua>.

E invece no: perché se la poesia non può salvare il mondo, certamente può farcelo accettare. E, qualche volta, persino renderlo un posto migliore. Ci sono film che hanno una bella faccia, altri che mostrano i muscoli: questo ha un animo puro. E un cuore che batte sottovoce. E il volto strampalato e rockettaro di Jim Jarmusch, che ci regala uno dei suoi personaggi più belli e serenamente intensi: l'autista-poeta di un bus che si chiama come la città dove vive - Paterson - e che, tra una pausa e l'altra del suo viaggio esistenziale, compone versi portando con sè oltre alla foto della moglie il ritratto di Dante Alighieri...

Fatto di piccoli dettagli e di altrettanto minimi trionfi e cadute, <Paterson> è il film empatico e introspettivo, delicato come una carezza, pesante quanto una goccia di pioggia che scivola sui capelli di una bimba, con cui il regista di <Ghost dog> e <Dead man> porta il suo cinema stralunato e il suo realismo romantico nella città natale di William Carlos Williams (gran bella riscoperta) e di Allan Ginsberg (ma anche di Gianni e Pinotto), la stessa dove l'anarchico Gaetano Bresci  maturò l'idea di uccidere il re d'Italia.

E' qui che con calviniana leggerezza (e filosofia orientale) Jarmusch segue una settimana nella vita, monotona eppure sommessamente felice, di un giovane conducente dell'autobus (Adam Driver, il cattivo dell'ultimo <Star Wars>, che fa un gran lavoro di sottrazione) amante della poesia e allergico agli smartphone: il risveglio (sempre ripreso dall'alto) insieme a una moglie che ogni giorno si cuce addosso un sogno diverso (dalla pasticciera specializzata in cupcakes alla cantante country), il giro in bus, la sosta serale al pub. Tra colleghi che vedono sempre il bicchiere mezzo vuoto, baristi che sfidano a scacchi se stessi, rapper che cercano le rime in una lavanderia a gettone,  innamorati infelici che minacciano il suicidio con una pistola finta, vecchi film in bianco e nero. E un impagabile e gelosissimo bulldog...

Nella poesia della normalità, i pensieri diventano versi e i versi parole: scritte sullo schermo, capaci di accendere spie, come <un fiammifero sobrio e furioso pronto a prendere fuoco>. Tra delusione e speranza, strani incontri e dialoghi (come sempre nel cinema del regista americano) felicemente fuori schema: e l'ironia bizzarra di chi sa che solo i grandi sanno raccontare le piccole cose.

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