Ex machina: e dio creò l'automa
E’un po’ come se Freud e Asimov uscissero a prendere l’aperitivo insieme. E poi decidessero di andare al cinema. E il film non potrebbe che essere uno solo, quello: «Metropolis». Il capolavoro espressionista di Fritz Lang, tra art déco e mito dell’automa. Ecco sì: la definirei una serata interessante. Come interessante, alla prova dei fatti, è l’ambizioso esordio nella regia dell’inglese Alex Garland (è suo il libro da cui è stato tratto «The beach», ma non gliene farei una colpa: piuttosto è bene ricordarlo come sceneggiatore di «28 giorni dopo» e del bellissimo «Non lasciarmi») che in «Ex machina» mescola insieme robotica e psicanalisi, riferimenti pop anni ‘80 (l’hit «Enola Gay» ma anche «Ghostbusters» e «Star Trek») e la pittura automatica di Pollock, videoarte e test di Turing, Wittgenstein e la Bibbia. Finendo col girare, in un’escalation di simulazioni non solo sintetiche, un film «chiuso», claustrofobico, acrobatico nel ragionamento e imprevisto nell’emozione.
Caleb, un giovane programmatore, viene scelto dal capo della società per cui lavora, una sorta di solitario e inquietante guru dell’informatica, per mettere alla prova Ava, cyborg dotata di intelligenza artificiale che pare addirittura capace di provare emozioni... Tre personaggi, una casa bunker di tecnologica solitudine che sembra l’antro di un dio ebbro e stanco, sei sessioni: ma chi studia chi? Chi testa davvero chi?
Nel costante dubitare degli altri e di sé, dove l’indecifrabile imbarazzo dell’anima è forse solo lo specchio magico di un’ennesima recita, Garland costruisce un teso fanta-thriller arricchendolo di riferimenti filosofici e suggestioni kubrickiane, continuando a stravolgere i ruoli (il robot, dalla sua trasparente gabbia di vetro, dà lezioni di umanità ai suoi «inquisitori» in carne e ossa) per avventurarsi, sino al bel finale a sorpresa, alla ricerca dei più intimi segreti della (in)coscienza. L’atmosfera è pesante, l’aria sottile: gestita con successo l’interazione degli interpreti (il lanciatissimo Domhnall Gleeson, figlio dell’attore Brendan, Oscar Isaac, con cui si rivedranno in «Star Wars», e la scoperta Alicia Vikander, volto di Louis Vuitton), «Ex machina», nella malinconica vanità del robot che voleva sentirsi donna legge soprattutto l’incapacità dell’uomo di relazionarsi con l’altro sesso. Un sottotesto che alza l’asticella del film: siamo davvero sicuri che sia «solo» fantascienza?