Ammore e malavita: vedi Napoli e poi canta
Canta Napoli, canta che ti passa: dai Manetti Bros., <Ammore e malavita>, un divertente e scatenato musical a mano armata. Un film spigliato e divertente, una sorta di thriller neomelodico, dove la cinefilia più sfrontata e un gusto citazionista invita al ballo la tradizione musicale partenopea. Un po' come se la parodia di <Gomorra> incontrasse la sceneggiata napoletana e tutto venisse frullato con l'irriverenza sagace di un John Landis.
Il risultato è felice e meno trash del previsto: anche perché - dai tour turistici a Scampia con selfie alle Vele e scippo compreso nel prezzo all'irresistibile versione napoletana di <What a feeling> tratta da <Flashdance> - le idee messe in campo non sono poche.
Nella Napoli di oggi, la storia di un infallibile sicario che tradisce il suo boss per amore dell'infermiera che avrebbe dovuto uccidere...
Passati al setaccio di un'affettuosa ironia stereotipi e luoghi comuni della napoletanità vecchia e nuova, i Manetti girano una commedia <contaminata> dove il genere (b-movie compreso) si esalta in una riscrittura stravagante e pop. Le canzoni, firmate da Alessandro Garofalo (in arte Nelson) e Franco Ricciardi (con le musiche di Aldo & Pivio de Scalzi), non sono tutte dello stesso livello: ma il montaggio è agile, Buccirosso strepitoso (mentre è una vera sorpresa Raiz, il leader degli Almamegretta), il tono indovinato. Il riferimento principale è <Grease>, ma più di tutto conta la trasversalità di un'operazione che mescola suggestioni di segno anche molto differente. Celebrando una Napule mille culure dove per alcuni <l'essere umano è come la pummarola 'ncoppa agli spaghetti alle vongole: non vale niente>.
Hungry hearts, il film-catarsi di Costanzo
Prende in prestito il titolo a una canzone di Bruce Springsteen (ma fa quasi scattare l'applauso quando spara a tutto volume il tema di <Flashdance>...) e dice di essersi ispirato a Cassavetes (<al suo approccio un po' spregiudicato, ribelle>): ma di fatto è decisamente più bravo che presuntuoso. Anche perché giunto al quarto film, Saverio Costanzo dimostra di possedere una spiccata e per nulla banale personalità sia dal punto di vista formale che da quello narrativo, realizzando con <Hungry hearts> una pellicola soffocante e opprimente, disturbante e <malata>: un insolito approdo, o se preferite un'isola (in)felice, in un cinema italiano che al contrario cerca a ogni piè sospinto (e ad ogni costo) di piacere.
Partito benissimo - complice una ripresa a macchina fissa claustrofobica (che poi è la condizione di tutto il film), agitata e divertente, con i due protagonisti (ancora perfetti sconosciuti) che cercano di uscire dal bagno del ristorante dove sono rimasti chiusi -, <Hungry hearts>, che trasforma in breve tempo la spensieratezza iniziale in paranoia metropolitana fino a toccare atmosfere da horror dell'anima, racconta a <strappi> (con quei quadri separati da dissolvenze al nero che raccontano molto anche senza dire) la storia di una giovane coppia - lui americano e lei italiana -, che aspetta un bambino. La madre però sin da subito vive in maniera ossessiva il rapporto con il piccolo: e convinta di fare il suo bene non gli dà da mangiare carne e non lo espone praticamente mai alla luce del sole...
In una New York mai così poco attraente, un film che sta sempre addosso ai suoi personaggi - prima privilegiando inquadrature molto strette, poi attraverso riprese deformate - in un crescendo angosciante in cui il regista italiano coglie l'incubo molto contemporaneo di una <purezza malata>, lavorando di nuovo su temi a lui cari come la trasformazione del corpo, il rifiuto del cibo, l'isolamento, l'autolesionismo.
Tratto da <Il bambino indaco> di Marco Franzoso, girato in modo istintivo per non avere il tempo né la voglia di giudicare nessuno dei suoi personaggi, <Hungry hearts> è un film-catarsi (<volevo guardarmi con più amore e tenerezza>, ha spiegato Costanzo) potente e spigoloso dove i due bravissimi interpreti principali – Alba Rohrwacher e Adam Driver (divo della serie tv <Girls> e prossimo protagonista del nuovo <Guerre stellari> e dell'ultimo film di Scorsese) -, entrambi premiati con la Coppa Volpi a Venezia, diventano i complici perfetti di un regista che a ogni inquadratura sembra volersi (e forse volerci) mettere alla prova.