Rogue One, pioggia e fango nella galassia: altro che Disney, è mucchio selvaggio
C'è fango nell'ultimo <Star Wars>: anche nella galassia, là dove meno te lo aspetti. E pioggia. E dolore. E il prezzo della speranza, che qualcuno dovrà pagare. Facce da sbarco in Normandia, fede (<c'è qualcuno lassù>: forse Dio, forse solo un'astronave amica...), sacrificio: e, più di tutto, l'accettazione consapevole del destino che si è fatto proprio, il desiderio di vivere – e di morire dalla parte giusta. Più <Mucchio selvaggio> che favola disneyana questo <Rogue one>, film <furfante> (<rogue>, appunto) e ribelle non tanto alla complessa cosmogonia della saga (di cui rispetta i crismi e il verbo) ma al suo compito già segnato, scritto: una scintilla capace di aprire un varco spazio-temporale nella monumentale iconicità dell'universo lucasiano, una divagazione sul tema che sa essere allo stesso tempo parte del tutto ma pure racconto compiuto, finito. Uno <spin-off> più <sporco> e meno ammiccante del più atteso <Il risveglio della forza>, e in ogni caso più scritto: con un andamento opposto (qui la partenza, un po' western e un po' tarantiniana, è lenta, un po' frenata, ma il crescendo finale è davvero notevole) al controverso episodio 7 della serie stellare uscito l'anno scorso. Vintage quel che basta, con forti accenni scenografici mediorientali (è il futuro, ma forse è Aleppo), <Rogue one> si pone cronologicamente poco prima di <Guerre stellari> (l'unico e l'originale): l'Impero ha ormai messo a punto una devastante arma di distruzione di massa, ma l'Alleanza dei buoni, divisa più del Pd, prende tempo, incerta sul da farsi. Toccherà a una ragazza (Felicity Jones) in lotta contro la sua stessa indifferenza (<non ti importa della causa?>), a un capitano coraggioso e a un jedi cieco (l'<Ip man> Donnie Yen, il personaggio più affascinante) passare all'azione prima che sia troppo tardi. Fatti propri alcuni punti fermi della saga (il rapporto padre/figli, la necessità di schierarsi, il viaggio alla scoperta di sé), illuminato dalle dosate - e mitologiche - apparizioni dell'insuperabile Darth Vader, il film dell'inglese Gareth Edwards mette in scena un manipolo di (anti)eroi combattuti e tormentati che non possono che scegliere di non avere scelta. E' lotta dura senza paura: con la certezza che a salvare il mondo non saranno né gli uomini né i droidi. Ma le uniche creature in grado di farlo: le donne.
Che la forza sia con voi: Star Wars tra passato e futuro
<La cosa assurda è che il lato oscuro, la forza, i Jedi sono reali...: è vero, è tutto vero>.
Che il mito sia con voi: a quasi 40 anni dal film che cambiò il cinema, Hollywood sente il richiamo della luce. E' il tempo delle scelte: non si può scappare davanti al proprio destino, non si può più – non ora, non stavolta - rimanere neutrali. Ma perché tutto possa finire, tutto deve, inevitabilmente, ricominciare.
E' un'impresa monumentale, non tanto nella realizzazione (già di per sé ardua, complessa e costosissima: 200 milioni di dollari, per servirvi) ma quanto nella temerarietà della sfida, risvegliare la forza: c'è voluto l'inventore di <Lost>, J.J.Abrams, uno che ha giocato anche a reinventare <Star Trek>, per tentare la missione impossibile di mettere mano (per concluderla e insieme rilanciarla in una pioggia di spin off) alla saga più iconica, venerata e amata di sempre. Un evento mondiale, il nuovo <Star Wars>: e come potrebbe essere altrimenti? Roba che Spielberg (fan della prima ora) lo ha già visto 3 volte (e gli è piaciuto parecchio) e c'è chi, per giorni in coda, in attesa che aprisse la sala, si è pure sposato sul posto...
Ma fuori dalle chiacchiere, dal merchandising, dalle ossessionanti proiezioni degli incassi, il settimo episodio di una serie vista solo in Italia da oltre 16 milioni di persone, è soprattutto un film ponte tra il passato (l'originale del '77) e il futuro (la saga che sarà), una sorta di avvincente passaggio del testimone tra chi ha cominciato tutto e chi invece è chiamato a finirlo. Recuperato il gusto, anche estetico (con una scelta vintage che limita all'essenziale le prodezze digitali), dei primi <Guerre stellari>, Abrams (che non a caso ha girato in pellicola) lascia che il suo film oscilli tra il remake e il reebot riportando la favola spaziale (che qui, più che mai, è atto di fede) nei confini di uno schermo che non sembra abbastanza grande per contenerla.
Spettacolare, divertente, vertiginoso, <Star Wars> infiamma ancora la Galassia: nel momento del pericolo, vecchi eroi – come Han Solo (un Harrison Ford in grande forma) – e nuovi paladini del Bene (la mercante di rottami Rey – la grande rivelazione Daisy Ridley -, un personaggio che da sola fa il film, dimostrando che la forza, oggi, è donna...) accorrano in aiuto della principessa Leia (Carrie Fisher, la nonna di se stessa). Riaccesi i motori della space opera, Abrams legge nel deserto (a volte anche morale) di un mondo orfano e oppresso l'ansia contemporanea di uno scontro inevitabile, là dove oltre le spade laser balenano sotto la neve anche i dubbi e i tormenti di eroine e malvagi troppo soli che sanno che c'è un tempo per combattere e uno per morire. Il mix di avventura, ironia, azione e nostalgia è spesso irresistibile, ma va detto che a volte si avverte un'incrinatura, un tremito, nella forza: nel personaggio del cattivo di turno, ad esempio, debole perché poco scritto (ma anche Adam Driver, ben più convincente in <Hungry hearts> di Costanzo, ci mette del suo), in una certa fretta controproducente nello svelare colpi di scena potenti, in alcuni dettagli (ma perché un disertore peraltro non molto avvezzo ai combattimenti sa usare una spada laser?) che forse non sono tali. Resta il merito però di essere ripartiti e non con una marcia bassa: la saga è sveglia e lotta insieme a noi.
Hungry hearts, il film-catarsi di Costanzo
Prende in prestito il titolo a una canzone di Bruce Springsteen (ma fa quasi scattare l'applauso quando spara a tutto volume il tema di <Flashdance>...) e dice di essersi ispirato a Cassavetes (<al suo approccio un po' spregiudicato, ribelle>): ma di fatto è decisamente più bravo che presuntuoso. Anche perché giunto al quarto film, Saverio Costanzo dimostra di possedere una spiccata e per nulla banale personalità sia dal punto di vista formale che da quello narrativo, realizzando con <Hungry hearts> una pellicola soffocante e opprimente, disturbante e <malata>: un insolito approdo, o se preferite un'isola (in)felice, in un cinema italiano che al contrario cerca a ogni piè sospinto (e ad ogni costo) di piacere.
Partito benissimo - complice una ripresa a macchina fissa claustrofobica (che poi è la condizione di tutto il film), agitata e divertente, con i due protagonisti (ancora perfetti sconosciuti) che cercano di uscire dal bagno del ristorante dove sono rimasti chiusi -, <Hungry hearts>, che trasforma in breve tempo la spensieratezza iniziale in paranoia metropolitana fino a toccare atmosfere da horror dell'anima, racconta a <strappi> (con quei quadri separati da dissolvenze al nero che raccontano molto anche senza dire) la storia di una giovane coppia - lui americano e lei italiana -, che aspetta un bambino. La madre però sin da subito vive in maniera ossessiva il rapporto con il piccolo: e convinta di fare il suo bene non gli dà da mangiare carne e non lo espone praticamente mai alla luce del sole...
In una New York mai così poco attraente, un film che sta sempre addosso ai suoi personaggi - prima privilegiando inquadrature molto strette, poi attraverso riprese deformate - in un crescendo angosciante in cui il regista italiano coglie l'incubo molto contemporaneo di una <purezza malata>, lavorando di nuovo su temi a lui cari come la trasformazione del corpo, il rifiuto del cibo, l'isolamento, l'autolesionismo.
Tratto da <Il bambino indaco> di Marco Franzoso, girato in modo istintivo per non avere il tempo né la voglia di giudicare nessuno dei suoi personaggi, <Hungry hearts> è un film-catarsi (<volevo guardarmi con più amore e tenerezza>, ha spiegato Costanzo) potente e spigoloso dove i due bravissimi interpreti principali – Alba Rohrwacher e Adam Driver (divo della serie tv <Girls> e prossimo protagonista del nuovo <Guerre stellari> e dell'ultimo film di Scorsese) -, entrambi premiati con la Coppa Volpi a Venezia, diventano i complici perfetti di un regista che a ogni inquadratura sembra volersi (e forse volerci) mettere alla prova.