Filiberto Molossi Filiberto Molossi

La giovinezza: l'irresistibile tentazione di un ultimo palleggio

<Uomini, animali, piante: che differenza fa? Siamo tutti dei figuranti>.

In un luogo che è nessuno e insieme tutti, dove <le emozioni sono sopravvalutate> e la leggerezza <una tentazione irresistibile>, la sfacciata arroganza della (grande) bellezza incontra, sulla pedana circolare della vita che resta - sfinito girotondo -, il corpo sfatto della malinconia, che poi è il destino di non essere capiti, di essere, semplicemente, <passati>. Come il tempo, che ti sfugge quasi fosse acqua tra le mani, corre, scappa senza voltarsi indietro. Come i ricordi, che verranno dimenticati, cancellati: quella ragazza tempo fa, le battute di un film, persino un palleggio mancino che ti pareva potesse durare un'eternità. Tutti quegli sforzi per nulla, tutti quei gesti - una volta sicuri, certi, definitivi - smarriti in un'inevitabile decadenza: tutte quelle cose - i sentimenti, le parole mai dette, i rimpianti - che, forse, non si possono più aggiustare. Nel loop del disincanto, dove però, nonostante tutto, si resta ancora aggrappati (come in <Mia madre> di Moretti) al domani. E si scende a patti col presente che, ora e dopo, è l'unico vero futuro possibile.

E' come una carezza data ai figli mentre fingono di dormire, <La giovinezza>: una visionaria, potente, antinarrativa (e a tratti autoreferenziale), riflessione sul tempo che muore, tra orrore e desiderio, canzoni de <Il tempo delle mele> e mucche <musicali>, Novalis e Stravinskij, Hitler e - persino - (il sosia di) Maradona...

Surreale, felliniano (se <La grande bellezza> aveva più di qualcosa in comune con <La dolce vita> qui il termine di paragone è <8 1/2>), inventivo, il nuovo, attesissimo, film di Paolo Sorrentino, struggente e divertente allo stesso tempo, ci porta in un resort di lusso sulle Alpi: quello dove trascorrono le vacanze due vecchi amici, un direttore d'orchestra che si è ritirato dalle scene e un regista che vuole girare il suo film testamento.

Scritto e diretto dal regista napoletano (già pronto a una nuova avventura, la serie per il piccolo schermo <Young Pope> con Jude Law) con l'abituale, meravigliosa, fotografia, di Luca Bigazzi e un supercast di levatura internazionale (Michael Caine truccato da Servillo, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano e persino Jane Fonda), <La giovinezza>, dedicato a Francesco Rosi e realizzato anche col contributo della Barilla, si muove tra alto e basso, serio e grottesco, vanità e rassegnazione, riproponendo un'idea estetica di accecante perfezione e di lirica pulizia: il limite piuttosto, rispetto a un capolavoro come <La grande bellezza> (più sorprendente e toccante), è nella presunzione stavolta tenuta meno a freno, in quell'essere a tratti <piacione>, nel risultare a volte sentenzioso e un po' troppo innamorato di se stesso.

Ricco di trovate, vitale anche nella sua <decadenza>, bello, anche bellissimo, <La giovinezza>: ma un po' paraculo, per dirla come va detta.

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Dylan Thomas, la buona notte di un poeta tra le stelle

Dylan Thomas è un genio: ma questo forse lo sapevate già. Nei suoi appena 39 anni di vita pieni di alcol, notti insonni e debiti ha scritto cose meravigliose, versi stupendi. Ne era consapevole un altro geniaccio come Igor Stravinsky che lo ammirava e per lui compose un pezzo. E anche il signor Robert Zimmerman che si fece chiamare Bob Dylan proprio in suo omaggio, anche se per parecchio tempo negò.  Ora il poeta gallese, uno dei grandi del '900, torna prepotentemente di moda grazie a Interstellar, il nuovo film di Christopher Nolan. Dove come in una litania, un'estrema, rabbiosa, preghiera, vengono ripetuti alcuni dei suoi versi più belli: "Non andartene docile in quella buona notte. Infuriati, infuriati contro il morire della luce". Ma c'è di più: al suo voiaggio a New York dove, già gravemente malato, morì, è stato ora dedicato un film. Si chiama Set fire to the stars e se vi chiedete se lo vedremo mai in Italia è una bella domanda: intanto, è uscito in Gran Bretagna. Lo ha girato, in un gran bel bianco e nero, il debuttante Andy Goddard (cosa vuol dire a volte una d di troppo....) ispirandosi a una storia vera: quella dell'incontro tra Dylan Thomas (interpretato da Celyn Jones, il Fabrizio di Da Vinci's Demons) e un giovane aspirante poeta (fan di Thomas) nei cui panni si cala Elijah Wood, già celebre Frodo della saga de Il signore degli anelli. A proposito, la mia poesia preferita di Dylan Thomas è "Nel mio mestiere o arte scontrosa". Fa così: "Non per l’uomo fiero in disparte dalla luna che infuria io scrivo...ma per gli amanti, le loro braccia cinte agli affanni dei secoli che non offrono lode o salari, né attenzione al mio mestiere o arte". Grande.

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