Gli Avengers: il dream team del cinefumetto
«I guai tornano sempre». Un po’ come i supereroi. Che nemmeno fai in tempo a sederti che già stanno sparando da tutte le parti, quasi fossi finito in un videogame anni ‘80. Sì insomma, i preamboli stanno a zero: e le presentazioni sono finite da un pezzo. Qui giocano i Messi e Neymar del cinefumetto, mica le riserve: e se l’approfondimento psicologico è un po’ da bimbi minchia, pazienza. Vanno presi come sono, senza pensarci troppo: c’è un dio che gira sempre col martello (ha quadri da appendere?), un tizio che se si incavola diventa verde dalla rabbia, uno che corre più forte di Bolt. Insieme fanno un bel macello gli Avengers, non c’è che dire: ma è altrettanto vero che in questa seconda puntata dedicata al dream team della Marvel c’è più metallo, più acciaio che non carne, sangue e spirito. Colpa soprattutto di un cattivo interessante quanto una partita all’ultima giornata tra due squadre già retrocesse e ironico meno di un modulo per la dichiarazione dei redditi: ma anche di qualche idea vecchia (ci sono persino echi di «Terminator» e della sua rivincita delle «macchine») e di qualche eccesso di catastrofismo (le auto si ribaltano, i grattacieli crollano e i camion volano...) che rischia che la scorpacciata di spettacolo (super anche questo, certo che sì) si trasformi, se hai già fatto l’esame di terza media, in overdose.
Costato 250 milioni di dollari e girato in 4 continenti (tra cui alcune sequenze in Valle d’Aosta), «Avengers: Age of Ulton» costringe i nostri a battersi con un nemico che si sono creati da soli: un «errore di laboratorio» che potrebbero pagare molto caro. Il lui in questione in realtà è un’intelligenza artificiale che avrebbe dovuto proteggere il mondo: e invece prova a distruggerlo...
Solito mix (attentamente equilibrato) di azione e ironia, sguardi all’attualità (i civili come uniche e vere vittime della follia della guerra, i mercanti di morte, l’onnipotenza della scienza) e minacce apocalittiche, il film di Joss Whedon (imbottito di star: c’è anche James Spader che in motion capture dà vita al villain Ultron) celebra il gioco di squadra trovando però gli spunti più interessanti quando lascia che i suoi protagonisti si confrontino con i loro stessi fantasmi, con i rimorsi e i rimpianti: e con le proprie, più recondite, paure, col timore di fallire o di averlo già fatto. E’ uno spunto «alto», una via che però il kolossal Marvel percorre solo fino a un certo punto, nella riflessione di un’umanità segnata, ma capace di conservare una grazia anche nei suoi fallimenti. Ecco, lì c’era tessuto per creare l’arazzo: peccato che bisogna tornare subito a salvare l’universo.