Gustav e Ingo in bianco e nero: il primo film non si scorda mai
Ma voi ve lo ricordate il primo film che avete visto? Il primo al cinema, intendo: in vita vostra. Che mica vale barare: non si può nominare il terzo o il quarto perchè magari sono diventati celebri o dei classici. Solo il primo e solo quello. Dicono che per la generazione pre televisione, quella che il primo film è uno choc sul serio, perché le immagini in movimento, a quell'epoca, stavano dentro solo a quello stanzone buio, è normale ricordarselo. Ma per gli altri? Per chi è venuto dopo? Io ad esempio il titolo non lo ricordo: ma so che era un western e mi rammento la sala dove l'ho visto. E con chi. Però il titolo, no: ho l'impressione che fosse uno spaghetti, imitazione poco memorabile di qualche cult di Leone. Peccato. Però mi ricordo - e accidenti ti giuro che me lo ricordo come se fosse ieri - che ho guardato "il parallelo della vita": sì, quello del 23 marzo di 40 anni fa, tra Thoeni e Stenmark, l'italiano invincibile e lo svedese che avrebbe vinto tutto. E' uno dei miei primi ricordi "visivi": avevo 5 anni, un mese dopo o giù di lì 6. Non so perché me lo ricordo così bene, o forse sì: avevo probabilmente intuito, perché tutto lo faceva pensare, che il momento non fosse solo solenne, ma già scolpito nella leggenda. Anche la situazione lo faceva pensare: io, uno dei miei fratelli e mia sorella chiusi in camera in silenzio pronti a tifare per Gustav che scendeva in bianco e nero dentro a un cubo Brionvega. E' una cosa che è durata secondi, ma nemmeno tanti: eppure è arrivata fino a qui, lunga 40 anni.
Thoeni aveva il pettorale numero 1, Ingo le basette lunghe: difficile per chi non l'ha vista spiegare l'enorme, assurda, carica emotiva di quel momento. Anche per un bambino di 5 anni: che aveva capito, non so come, che si decideva tutto lì, che persino il destino del mondo passava da quell'ultimo slalom. Là, su quella pista dove l'enorme scritta dello sponsor era quella del latte che bevevamo tutte le mattine. Erano arrivati pari: 240 punti a testa, che nemmeno a uno sceneggiatore ma di quelli bravi davvero gli viene in mente un finale così. Perché lo slalom parallelo, parliamoci chiaro, è tipo l'ultima tappa del Tour: una passerella o poco più, un divertissment. E invece no: quel giorno del 1975 divenne il duello decisivo, la gara dentro o fuori, il match della storia. Dopo una serie di incalcolabili emozioni, davvero come in un film, Thoeni e Stenmark si ritrovarono davanti nella sfida finale. Due manche, poi più niente. Partiti e urliamo tutti: nelle case come i 50 mila di Ortisei. Gustav sembra più avanti, ma forse no: ma va forte ci puoi giurare. tanto che Stenmark, che allora era solo un (fenomenale) ragazzino rischia qualcosa di troppo. E a due porte dall'arrivo cade. Grido liberatorio di milioni di italiani. Ma non di Thoeni: che guarda e non esulta sulle disgrazie dell'avversario. Perché è uomo di neve come lui, perché una volta si faceva così. Gustav vince la sua quarta Coppa del Mondo: è nel mito. Si esulta, si piange. Ma da quel che ricordo la mia gioia per Thoeni era paragonabile alla tristezza per il "nemico", al suo inconsolabile defilarsi fuori dallo schermo dopo l'errore. Più tardi ho visto Tomba vincere le olimpiadi, le magie della Compagnoni, la sopresa Razzoli: ma niente vale come quel parallelo in bianco e nero, visto in camera in piedi con i miei fratelli. Però una cosa ancora me la chiedo: ma com'è che in 40 anni non ho ancora imparato a sciare?