The end of the tour: essere David Foster Wallace
Portava sempre una bandana in testa come se fosse una coperta di Linus, non aveva la tv <perché se no sarei sempre lì a guardarla>, amava i brutti film d'azione e per divertirsi andava a ballare in una chiesa battista; e prima di scoprire che <tutto era niente> nel suo faticare senza chiedere ricompensa lo terrorizzava soprattutto una cosa: che il successo un giorno gli potesse piacere davvero. Era un esibizionista timido e un tennista mancato, uno dei migliori e più influenti scrittori della sua generazione, David Foster Wallace: che ora rivive in <The end of the tour>, un film che va molto oltre il biopic per raccontare il breve incontro tra lo scrittore (poi morto suicida) e David Lipsky, il giornalista che lo seguì nel suo tour per la presentazione di <Infinite jest>.
Una pellicola a due voci, questa diretta da James Ponsoldt, che non è solo un interessante viaggio dentro a una personalità complessa, fragile e irripetibile della letteratura moderna, ma anche una riflessione sul senso stesso dello scrivere, sulla solitudine <necessaria> di quell'atto (o arte, o mestiere) fatto in realtà proprio per sentirsi meno soli.
Ricostruita quell'intervista-fiume come una partita a tennis, un continua botta e risposta dove ci si mette a nudo non senza imbarazzo, <The end of the tour> può contare anche su due ottimi interpreti come Jesse Eisenberg (Lipsky) e Jason Segel, che, abituato a ruoli comici, qui sorprende anche se stesso.