Tutti lo sanno: l'anomalia dell'orologio dell'anima
E' l'anomalia del meccanismo di un grande orologio arrugginito, il guasto che ritarda la lancetta dei secondi e fa che sia più pesante il viaggio di quella dei minuti: l'imperfezione, il crac, che sballa tutto e rende impossibile ritornare al punto partenza. Perché alla fine, nel cinema di Asghar Farhadi, restano solo quelle, le macerie: di un matrimonio, del passato, dell'anima. Gira (con soldi anche italiani: quelli della Lucky Red) in una lingua non sua un thriller morale che in realtà gli appartiene, il più internazionale degli autori mediorientali: indagando nuovamente, questa volta in terra di Spagna (insieme a Penelope Cruz e Javier Bardem), le più complesse dinamiche familiari, mandando in mille pezzi equilibri che si vorrebbero saldi e radicati, ma in verità fragilissimi. Una festa, una notte di pioggia, una ragazzina che svanisce nel nulla: ci sono tutte le cose che funzionano al cinema in <Tutti lo sanno>: che sì, d'altra parte, è anche il film meno riuscito di un regista che ne fa solo di bellissimi, inaspettatamente incerto in alcuni incastri di sceneggiatura, a tratti scontato.
La storia di Laura, che torna dall'Argentina in Spagna per partecipare al matrimonio di una delle sorelle: si balla, si ride, ci si ubriaca. Poi, il dramma: qualcuno, approfittando del caos, rapisce Irene, sua figlia. Attraversato, anzi dilaniato, dal sospetto, <Tutti lo sanno>, dopo un inizio molto fisico, energico, lascia esplodere tensioni mai davvero sopite, invidie taciute, conflitti di classe dove i vecchi, barcollanti, padroni, affrontano a muso duro i figli dei servi. C'è brace sotto la cenere e l'effetto domino è devastante: il regista iraniano è stato altrove più rigoroso, qui il genere (con quel prologo che sembra richiamare le vertigini de <La donna che visse due volte>) a volte ne limita la profondità dell'azione, ma lo sguardo sulla fragilità delle relazioni umane resta severo, lucido, implacabile.