Le veRita’ nient’altro che le verita’
Sono un’attrice, non posso dire la verità”. Sono ancora affari di famiglia, anche in una Parigi chiusa in una casa, in un proscenio da bambini, e non potrebbe essere altrimenti dentro al film - bello, sì - di un regista che ha passato tutta la vita a riannodare quei legami a volte sfilacciati, altre solo invisibili, a cercare connessioni, a suturare cicatrici, a ricucire sotto pelle sentimenti riconoscibili che vanno al di là di bugie dette mentre ti tormenti i capelli. Che poi quello che cerchiamo tutti, prima che sia tardi, è sempre la stessa cosa, il perdono: di chi abbiamo amato e di chi vorremmo ci amasse. O almeno quello del pubblico... Nella grande recita della vita, dove non esiste un copione definito e si agitano i fantasmi di un passato che scolora, tra ricordi inaffidabili e verità taciute a fin di bene, Kore-e da, per la prima volta lontano dal suo Giappone, accompagna sullo schermo un testo che aveva scritto (senza mai portarlo in scena) per il teatro: confronto dolente e appassionante, ma venato di ironia, tra madre e figlia in un moltiplicarsi (nel film nel film nel film...) di “Eva contro Eva”, alla resa di conti che a volte si rivelano sbagliati, trovando nel non detto le parole per dirlo, in cerca di un abbraccio che zittisca, se non per sempre almeno per una sera, i rimorsi.
Fabienne (Catherine Deneuve, in un ruolo semiautobiografico), una grande attrice francese, riceve la visita della figlia Lumir (Juliette Binoche), con cui ha da sempre un rapporto problematico. Star molto amata ma bugiarda cronica, madre in difetto, egoista e perennemente concentrata su se stessa, la diva, impegnata sul set di un film di fantascienza dove interpreta la figlia di una madre assente che resta perennemente giovane, si scontrerà nuovamente con Lumir. Ma forse, stavolta, non invano.
Meno originale, almeno in partenza, delle pellicole che Kore-eda ha girato in patria, “Le verità” (quella del cinema, del passato, quella che un giorno ci siamo dati per buona e che nemmeno esiste) cresce però di minuto in minuto e va al di là del gruppo di famiglia in un interno così come dell’approccio metafilmico e psicanalitico, per toccare invece, mentre la finzione si mescola ovviamente con la “realtà”, corde e debolezze profonde, nell’esigenza di accettare gli altri per quello che sono, con le loro imperfezioni, e di fare pace, se non col mondo, almeno con se stessi. Invece di abbattere la quarta parete, il maestro giapponese fa entrare in punta di piedi il pubblico nel suo film: là dove regna incontrastata una strepitosa Catherine Deneuve, strega buona che oscura tutto quello che le sta accanto. Anche perché quando brilla la Luna, le stelle al massimo stanno a guardare.