Grazie a dio Ozon C'è
“Faccio questo per la Chiesa, non contro di lei”.
E’ un film lucido, pieno di senso, consapevole, anche quando più ostinato e implacabile, il dramma basato su una storia vera con cui il francese Francois Ozon affronta con rigore più che con facile indignazione un sistema (sociale, ecclesiastico, familiare) che ha permesso a un pedofilo di commettere crimini per anni senza punirlo. Non ne fa un film-inchiesta come “Il caso Spotlight”, ma piuttosto, davanti a un’istituzione che rischia di confondere il perdono con l’oblio, tradendo la fiducia del proprio gregge, una riflessione non scontata sulla fede, l’omaggio intimo al coraggio di chi affronta la sua fragilità e i suoi traumi, e più di tutto una pellicola interessata non tanto alla battaglia legale per stanare un prete che ha moltissimi abusi alle spalle quanto, muovendosi in una sfera più personale, problematica e dolorosa, all’evoluzione interiore e alla presa di coscienza corale di chi finalmente può dichiararsi vittima (“dobbiamo proteggere i bambini che eravamo”) senza doversi vergognare di esserlo.
E’ qui che il film fa un passo in più, nella sua polifonia, nella sua molteplicità di voci, nell’essere “uno e trino”: facendo progredire narrativamente la vicenda attraverso tre differenti personaggi, tre vittime dello stesso sacerdote, un credente praticante, un ateo convinto e un altro che di quelle violenze porta ancora i segni. Tre atti e un epilogo dove i protagonisti entrano in contatto e si condizionano a vicenda, affrontando ognuno alla sua maniera la lotta che li vede uniti sotto la stessa bandiera: quella dell’associazione che fondano per denunciare - prima alla polizia, poi ai media - le violenze subite quando erano piccoli scout da un prete carismatico e rispettato, padre Preynat. Che, nonostante avesse ammesso apertamente le sue perversioni, non venne mai ridotto allo stato laicale dalle gerarchie ecclesiastiche, che anzi gli consentirono di continuare a frequentare bambini.
Uno scandalo che in Francia ha avuto una grossa risonanza ma che non ha impedito alla chiesa locale di osteggiare in ogni modo - come ha raccontato Ozon - l’uscita del film che ha invece avuto in patria un successo al di là delle più rosee aspettative. Secco, diretto, puntuale, mai reticente, “Grazie a Dio”, Gran premio della giuria al Festival di Berlino, è un film di parola che non sfugge al confronto: e oltre a quello degli adulti che rivivono l’incubo subito da bimbi osserva da vicino anche il dramma di genitori che - per mille ragioni (nessuna buona) - non fecero nulla. O comunque troppo poco. L’omertà, il senso di colpa, il silenzio che non assolve i crimini: famiglie che si ricompongono lentamente, altre che rischiano di spaccarsi. Ma senza inseguire la vendetta: piuttosto cercando ristoro, soddisfazione, giustizia. “Perché queste cose non succedano più”. E, soprattutto, perché nessun cardinale (regalando al film un titolo tagliente) possa mai più dire: “Grazie a Dio questi fatti sono caduti in prescrizione”.