Ritratto della giovane in Fiamme: il poteRe dello sguardO
Avete visto tanti film senza donne, ora ne potete guardare anche uno senza uomini». Ha ragione Céline Sciamma, regista piena di talento, estro e simpatia appena passata da Parma: anche se, e lo sa bene anche lei, non è questo il centro, il cuore, del suo film. Che non è tanto un manifesto femminista quanto invece una bellissima riflessione sul potere dello sguardo, sul guardare e sull'essere a sua volta guardati. Perché sì, «Ritratto della giovane in fiamme» (candidato ai Golden Globes e premiato per la miglior sceneggiatura sia a Cannes che con l'Oscar europeo) è un film che vuole essere visto, ma che allo stesso tempo, senza per questo pretendere di giudicarlo, «guarda» il suo pubblico.
Un film che seduce quello della giovane regista francese, che donata una cornice di elegante e luminosa modernità all'azione che si svolge in un ‘700 ripreso in 8k per esaltare la contemporaneità di un melò che non ha nulla di artefatto, scova la storia che si nasconde in quello spazio invisibile e segreto che c'è tra il quadro e la parete.
Nella vicenda di una pittrice che si innamora (ricambiata) della ragazza (promessa sposa a un milanese che nemmeno ha mai visto) che posa, su ordine della madre (Valeria Golino), per lei (molto brave sia Noémie Merlant che Adèle Haenel, ma se quest'ultima è una conferma la vera sorpresa è la prima, intensa e magnetica), la Sciamma insegue una verità dell’immagine che è la stessa che cerca, con ostinazione, la sua protagonista.
C’è modo di parlare della condizione femminile (e dell’aborto), ma quel che più interessa all’autrice è l'architettura del sentimento: gli sguardi rubati, l’indugiare sui volti, le domande che - come i desideri - restano sospese: l’amore impossibile che vive solo nel ritratto. E nel ricordo.