Alice e il sindaco: la forza della parola
Chi non lo vorrebbe un lavoro così? Essere pagati per vedere le cose da un'altra prospettiva: la propria. E' quello che fa bene, anzi benissimo, il francese Nicolas Pariser che, in una società che ti costringe a invecchiare precocemente, gira una commedia progressista intelligente e schietta, inserendosi con la forza della dialettica nella frattura tra mondo politico e intellettuale, per mettere a confronto lo smarrimento diverso ma uguale della generazione dei padri e di quello dei figli, gli uni senza approdo gli altri senza prospettive.
E' un film stimolante, <Alice e il sindaco>(premio per il miglior film alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2019), obbliga a pensare (hobby sempre meno frequentato nell'era contemporanea della frenesia), a <partecipare>, che poi è quello che la politica (più ancora dell'arte) dovrebbe fare: un cinema di parola (detta e scritta), dal coté colto-ironico, critico dal di dentro, pronto ad affrontare, senza nascondersi dietro aggettivi di comodo, la crisi dei valori, la perdita dei principi morali.
Il sindaco socialista di Lione è in stallo: politico rispettato, sulla breccia da trent'anni, è annoiato, depresso, ha perso entusiasmo. Un'auto da corsa – come lui stesso si definisce – rimasta senza benzina. Allora, con una città da trasformare e la possibilità concreta di aspirare all'Eliseo, chiede aiuto a una giovane docente di filosofia: che dovrà aiutarlo a ritrovare quelle buone idee che ha smarrito per strada...
Chi ha paura dei fascisti, chi del collasso definitivo del pianeta malato, chi, infine, soprattutto di restare sola: è un mondo complesso e non esistono risposte facili. Ma forte di due interpreti perfetti per alchimia e misura (il navigato Fabrice Luchini, uno a cui è impossibile non volere bene, e la 33enne, assai promettente, Anais Demoustier, vista anche negli ultimi due lavori di Guédiguian), Pariser, all'opera seconda, trova una sintesi tra il cinema del suo maestro Rohmer e quello di Leconte, firmando una riflessione profonda sul senso stesso della politica, che è <come la musica e la pittura: è sempre è o niente>. E pazienza se non è ancora tempo per quel discorso che può cambiare tutto. Se le parole, ancora una volta, restano tali e la sensazione, l'impressione, è quella di un'impotenza infinita. Forse, ci salveranno i libri: quelli veri, avvolti nella carta regalo, che non si ordinano sul web. Forse, ci salveranno loro: se solo avessimo il tempo di leggerli.