Cattive acque, l’America avvelenata
<Sapevano ogni cosa>.
Uscirete più consapevoli da questo film: ma non più sereni. Per quello ci sono le pillole e gli analisti: il resto, mi spiace per voi, è amara realtà. Anche se è pur sempre Davide vs Golia: e si sa, di solito, come finiscono queste cose. Ma bisogna fare i conti col mondo: che è quel posto dove la gente non si fa problemi a lasciare morire migliaia di persone pur di vendere qualche pentola in più. Sì, avete capito bene: ho detto pentole.
Diretto da Todd Haynes (che già in <Safe> aveva denunciato la tossicità della nostra epoca) e prodotto e interpretato (con <fisica> partecipazione) dal liberal e <sandersiano> Mark Ruffalo, <Cattive acque> è un legal thriller antisistemico e sdegnato che si scaglia contro la mancanza di etica del capitalismo americano e la logica maledetta del profitto a ogni costo. C'è un monito – e con quello il tarlo, instancabile, della verità – nel film livido e sinistro con cui Haynes racconta con nomi e cognomi, complice un articolo del New York Times, una storia realmente accaduta: quella di un avvocato specializzato nel difendere le aziende che per una volta prende le difese di un povero Cristo, accusando un colosso della chimica di avvelenare l'acqua di una zona della West Virginia...
Cinema civile senza orpelli, immerso in una fotografia opaca, dove sono le sfumature di un verde mai squillante a rivelarsi dominanti, <Cattive acque>, più convenzionale rispetto ai lavori precedenti del regista californiano (penso a <Lontano dal paradiso>, <Carol> ma anche a <Io non sono qui>), si muove nel solco scavato già 20 anni fa da film come <Erin Brockovich> e <A civil action>: nulla di nuovo, ma d'altra parte non si può non apprezzare il rigore e la serietà che premettono ai fatti di prevalere sul facile spettacolo. Per quanto lo schema sia noto, Haynes non rinuncia a regalare una bella lezione di idealismo e di interesse verso il prossimo (l'<I care> kennedyano) scontrandosi frontalmente contro il modus operandi criminale di una società corrotta. Là dove solo un'ostinazione logorante dà senso alla vita di un individuo isolato dalla sua stessa, necessaria, battaglia.