Barbie? È diventata femminista
Trasformare la bambola più famosa del pianeta, inguaribilmente bionda (ma per la cronaca ci sono altri 93 colori di capelli...), magra, ultra accessoriata, asessuata, sempre pettinatissima e dal costoso guardaroba in un'icona femminista del terzo millennio capace di seppellire sotto tonnellate di pink power il patriarcato e la deludente società machista? Si può fare. Sopratutto se dietro la scommessa vinta dell'estate (solo in Italia lo hanno già visto oltre due milioni di persone) c'è la bella testa di Greta Gerwig, 40 anni tra pochi giorni, 2 acclamati film (e mezzo) da regista alle spalle (e - nel futuro prossimo - il copione di una Biancaneve senza nani...) e del suo complice e marito Noah Baumbach, non proprio un Ken qualsiasi.
Coppia regina del cinema indie, prestano il loro background autoriale e un sarcasmo raffinato da upper class alla logica del blockbuster brandizzato, mutuando una favola che non vuole avere un finale in un divertente spaccato socio-pedagogico: dove nell'universo «al contrario» all'adolescente arrabbiata che la chiama «fascista», la protagonista dimostrerà quanto va combattuta l'idea tossica di un mondo dove le donne non contano nulla e, al massimo, sono trattate da «bambole».
Ben lungi dal farsi rinchiudere nuovamente in una scatola, la moderna Barbie della Gerwig, anela, invece, libertà: pronta a calpestare con tacco 12 la banalità, noiosa e inutile (e forse pure immorale) della perfezione. A costo di, angosciata da una certa idea di finitezza, lasciare la rassicurante e plasticosa Barbieland, per cercare nella realtà risposte dai creatori della Mattel...
Crisi di identità, maschile e femminile, il rapporto madre/figlia e quello uomo/donna, sessualizzazione, capitalismo, «Orgoglio e pregiudizio»: nella consapevolezza della donna (non più) oggetto che trova il coraggio di essere se stessa, Gerwig mette lo stereotipo allo specchio, mixa alto e basso, fiaba e satira, parodia (il prologo - stupendo - alla «2001») e sottotesto, musical e empowerment. Il film diverte e, alla fine, funziona: merito anche di un fantastico lavoro sul decor che concepisce un universo da casa delle bambole coloratissimo, pop, confetto. Infine se Margot Robbie è una Barbie perfetta (le capita spesso di esserlo), la vera domanda che ci tormenta per tutto il film è un'altra: chi diavolo è il nutrizionista di Ryan Gosling?