Oppenheimer, baratro e vertigine

«La senti la musica?». «Sì, la sento».

Come un temporale prima del temporale, «Oppenheimer»: la vertigine dell'uomo e il baratro del secolo. Tienimi la mano mentre la sala vibra e trema nel countdown dell'umanità: e un bagliore accecante annuncia l'alba della nuova era del Prometeo americano, il distruttore dei mondi, lo scienziato magro come un fantasma che non avrebbe saputo gestire un chiosco di hamburger, ma il progetto per vincere la guerra sì. E' «cinema cinema» e ci dispiace per gli altri: pensato e realizzato in grande, col furore di chi non si volta mai indietro, nell'orgoglio del 70 mm e dell'Imax, per rubare il fuoco agli dei in cerca della massima definizione dell'emozione.

Christopher Nolan trasforma l'epica avventura umana (troppo umana) di una mente straordinaria in un film visionario e inquieto, vibrante e immersivo, incalzante e turbato: il ritratto di una personalità complessa là dove siamo tutti spazi vuoti, domande senza risposta.

Fissione e fusione, colore e bianco/nero, passato e «presente», teoria e pratica, scelte e conseguenze: piani destinati a intersecarsi nella (magnifica) ossessione del regista londinese (un must praticamente di tutti i suoi film) per il tempo, tra varchi e porte che si aprono e si chiudono e dialoghi che la pista sonora non registra.

Non c'è Hiroshima né Nagasaki in «Oppenheimer»: non direttamente, almeno. Non ce n'è bisogno. C'è, piuttosto, l'uomo di oggi e quello di domani (e la nuova «bomba» di cui forse si è già perso il controllo: l'intelligenza artificiale) nella storia del fisico che diede agli esseri umani il potere di autodistruggersi, l'eccitazione di una rivoluzione su cui non si ha in realtà nessun vero controllo. E l'impossibilità, al di là della buona fede e del momento storico, di assolversi.

Seguendo le tappe che portarono alla prima esplosione di un’arma nucleare nella Storia, nell’ambito del Progetto Manhattan - con un vero e proprio dream team di scienziati (tra cui il nostro Fermi) in corsa contro il tempo affinché i nazisti non arrivassero alla soluzione prima di loro -, l'autore di «Inception», «Interstellar» e «Dunkirk», nella vicenda personale del padre dell'atomica, leader carismatico, marito innamorato ma infedele, genio perseguitato (un magnifico Cillian Murphy, all'interpretazione della vita: così dedito al ruolo da cenare tutte le sere, per non mettere su nemmeno un grammo, con una mandorla...), accarezza il fascino infernale e seducente della bomba, ma nello scontro tra potere e individuo, politica e scienza fa del già molto acclamato «Oppenheimer» - mentre la minaccia nucleare rialza inaspettatamente e insensatamente la testa -, un film-monito angosciante e potente, oltre che di velenosa attualità.

In quell'assurdo sventolare di bandiere, nell'entusiasmo irrefrenabile della vittoria, in quel battere come marionette impazzite le mani, la colpa già divora l'uomo che per salvare il mondo accettò il rischio di distruggerlo: «Non la temeranno finché non la capiranno. E non la capiranno finché non l'avranno usata». La macchina da presa stretta sui volti, i continui cambi di tonalità della fotografia a seconda degli ambienti e delle epoche, l'ineluttabilità del progresso; Nolan fa detonare l'etica e, nel Paese che innalza l'individuo a idolo, a eroe, esclusivamente per poterlo un giorno abbattere dal suo stesso piedistallo, ritrova il suo protagonista solo e disarmato, ma in piedi: unico giudice che, sul crinale del dilemma, può davvero permettersi di giudicare se stesso.