Il caftano blu, il ricamo segreto del sentimento

Non è solo ago e filo. Ma il tempo che ci metti, la cura, l’attenzione. La passione - e la pazienza - che rendono un oggetto (un abito, ma anche un film …) vivo, che di un mestiere fanno un'arte, magari, come in questo caso, silenziosa e toccante. Che mica è vero, come dicono adesso, che «non fa differenza se è fatto a mano o a macchina»: la differenza la fa il sentimento, l'amore per quello che fai, la capacità, anche fuori tempo massimo, di sorprenderti, di emozionarti. Perché «un caftano deve sopravvivere a chi lo indossa». E una pellicola lo stesso.

E' impressionante quanta aderenza ci sia nel «modo», nello stile, anche nell'approccio, della marocchina Maryam Touzani e del personaggio che con segreto talento mette in scena in questo film bello, intimo e sensuale che ormai da un anno e mezzo (da Cannes 2022 dove passò a Un certain regard) ha trovato un posto nel nostro cuore: cucendo insieme immagine per immagine, inquadratura per inquadratura, come creasse un abito che non basta volere acquistare ma bisogna anche sapere portare.

Halim è un maalem, un maestro di sartoria, esperto nell'antica arte della confezione di splendidi caftani. Ma il lavoro è tanto, la moglie è malata e «nessuno vuole imparare un mestiere»: un giorno però alla sua bottega bussa un giovane apprendista. Che non gli è indifferente...

Film delicato, dal gesto sempre misurato, gentile, preciso, che parla attraverso i colori (il blu del caftano, ovviamente, l'oro elegante e prezioso dei fili, ma anche l'arancio dei mandarini) e i silenzi, quello della Touzani (suo anche il notevole «Adam») lavora con sapienza e discrezione sul desiderio represso di un uomo diviso tra l'amore per la moglie che si avvia alla morte e l'attrazione per l'allievo a cui tramanda il suo sapere, là dove il tempo - e il destino - ti costringe a fare i conti con la paura di essere te stesso, di accettarti, di rivelarti. E, in definitiva, di amare.

Girato con grazia e con femminile pudore (e con gli interpreti giusti: in particolare l'intensa Lubna Azabal, già magnifica protagonista de «La donna che canta»), «Il caftano blu» conosce il senso del tempo e quello, recondito e solo apparentemente esplicito, del ricamo: che è simbolo, immagine che si fa parola. Disegno perfetto del sentimento.