Dogman, l’ultimo outsider di Besson

«Più conosco gli uomini più amo i cani».

A dieci anni dall'ultimo vero successo, il più americano dei registi francesi, autore controverso (dato per perso - o per morto - mille volte) di un cinema che conosce il martirio così come la redenzione, il riscatto come il sacrificio, elegge a protagonista l'ennesimo dei suoi antieroi, girando un film sofferto e traumatico con cui, allergico come sempre al conformismo di una comunità umana che di umano ha ormai pochissimo, si schiera ancora dalla parte degli outsider e dei dropout.

Cantore irregolare di personaggi femminili in perenne evoluzione, sempre sul filo del rasoio (che ascoltino nella testa la voce di Dio o in un auricolare l'ordine di uccidere), il 64enne Luc Besson questa volta in «Dogman», affida la sua poetica (e la sua rivincita...) a Douglas, un uomo che vive da emarginato insieme a un centinaio cani.

Brutalizzato da ragazzino con furiosa violenza dal padre e dal fratello, che lo hanno ridotto su una sedia a rotelle, salvato dall'amore per i suoi cani (e da quello per il teatro, per la rappresentazione), una volta cresciuto cerca vendetta. E giustizia. Oltre che un'identità.

Permeato da un misticismo etico, orgogliosamente fuori posto, violento e doloroso, «Dogman» è sicuramente una delle cose migliori dell'ultimo Besson, anche se si tratta di un film derivativo e anche già un po' visto nel contesto (non banale) della diversity: una sorta di «Joker» cinofilo (oltre che cinefilo) che ha momenti potenti e riuscite idee di scrittura alternative, ma uno sguardo non così realmente inedito.

Non mancano però i punti di forza, che vanno al di là della difficoltà (non piccola) di girare un film con 115 cani sul set: la scelta drag del protagonista (che si esibisce truccato da donna cantando Edith Piaf) è ad esempio un twist notevole, un'idea vincente che dà al film un aspetto queer, ma anche un'inaspettata, trasversale, dolcezza.

E poi c'è lui, Caleb Landry Jones: fenomenale. Un attore strepitoso già premiato a Cannes nel 2021 (e dimenticato colpevolmente da Venezia quest'anno) che è l'eccezione che conferma la regola di un vecchio e saggio detto: «mai recitare con cani e bambini».