America Latina, l'orrore di un'epoca senza memoria
Denti, occhi mandibole: e volti, facce che riempiono lo schermo. Quelle facce di un'epoca senza memoria, di una nuova borghesia che nasconde la polvere sotto lo zerbino e chiude a chiave i peccati in cantina, seppellendoli sotto cumuli di non detto. C'è l'orrore insostenibile della famiglia perfetta nel nuovo film dei fratelli D'Innocenzo, «America Latina», che dopo «Favolacce» portano il loro cinema del non luogo (tra ville senz'anima con piscine a forma di barca, bar isolati, studi dentistici...) a giocare con i generi. Ma dopo due ottime prove (oltre a «Favolacce», l'ispirato esordio de «La terra dell'abbastanza») i gemelli di Tor Bella Monaca qui si fermano a un'idea, incapaci di dare sostanza soprattutto narrativa a un film, patologico e angosciante, che non riescono a elaborare né a fare davvero evolvere. C'è materiale al massimo per un corto in «America Latina», storia di Massimo (Elio Germano), una moglie e due figlie, famiglia benestante a Sud della capitale. Tutto bene, insomma: fino a quando andando in cantina fa una scoperta sconcertante...
Partito col piede giusto, il film, poco scritto e con qualche estetismo in eccesso, per quanto scomodo e personale, dimostra presto di avere il fiato corto, si disunisce in episodi poco utili (l'incontro del protagonista col padre) e, divorato dal sospetto, invece di lasciarsi marcire sulla cattiva coscienza di uno stato di calma apparente, si arrampica senza unghie lungo la deriva della follia, col rischio di fare aleggiare il fantasma di «The Others» in una poco felice reinterpretazione del gotico.