Mustang: la rivolta delle piccole donne nella Turchia di Erdogan
"Ci faranno a pezzi". "Che lo facessero: almeno sarà successo qualcosa".
Questo è un film pieno di grate, e di cancelli, e di porte chiuse a chiave: di divieti, di regole, di abusi. Ma anche di fughe dalle finestre, di rifiuti, di coraggio: che se non lo sai la <rivoluzione> a volte si fa anche andando a vedere una partita di pallone. Nella Turchia delle mille e una contraddizione, Paese a metà sempre in bilico tra Oriente e Occidente, passato e futuro, rito e modernizzazione, un film disubbidiente dove <Piccole donne> incontra <Il giardino delle vergini suicide>: dando vita a un affresco sincero, spontaneo e vitalissimo sulla condizione femminile al tempo (immobile) dell'Islam, ma anche di una società patriarcale e ultra maschilista sorpassata ma non cancellata dalla Storia.
Pieno di energia sin dall'inizio (bello quel bagno nel mare, innocente e felice casus belli che scatena una inimmaginabile reazione a catena), <Mustang>, emblematica opera prima di Deniz Gamze Ergüven, che l'ha scritta di getto insieme a Alice Winocour, è un appassionato grido di libertà che si carica sulle spalle la leggerezza e l'entusiasmo dell'adolescenza come la penosa, tragica, soffocante gravità di tradizioni centenarie.
In un arcaico villaggio sul Mar Nero cinque sorelle adolescenti, rimaste orfane, vengono cresciute dalla nonna e dallo zio. Un gioco con i compagni per festeggiare la fine della scuola le mette in cattiva luce davanti alla comunità: bisogna porre rimedio. La casa si trasforma in un carcere di massima sicurezza, le passeggiate con gli amici vengono sostituite da più edificanti corsi di cucina, i jeans lasciano il posto a <vestiti color merda> senza forma. Da lì ai matrimoni combinati il passo sarà breve...
Vibrante, potente nella sua lotta (sempre sospesa tra ironia e dramma) al pregiudizio, nel ribellarsi a un sistema repressivo che distrugge la volontà individuale della donna e ne nasconde (come se la femminilità fosse un peccato originale) il corpo, il film della Ergüven, chiamata - lei che è nata a Ankara - a rappresentare la Francia nella corsa agli Oscar, inneggia non banalmente alla sorellanza e, raccontato dall'impertinente voce off della ragazzina più piccola, spezza le catene della <misoginia di Stato>, lasciando che il vento si infili nei capelli delle sue protagoniste (tutte bravissime) mentre la prima alba sul Bosforo è dolce come la carezza che ti sveglia.