La ragazza senza nome, il giallo etico dei Dardenne
C'è un grido d'aiuto inascoltato, ma anche un invito - quello ad aprire la porta (della nostra attenzione, della nostra sensibilità, del nostro cuore, prima ancora che delle nostre frontiere) - nel nuovo film dei fratelli Dardenne: dove, tra i tanti pazienti di un ambulatorio medico, non è difficile riconoscere sullo sfondo (vero elefante nella stanza) la sola, vera, grande ammalata: l'Europa. Che alza muri e barriere (e adesso pure le barricate), sbarra gli ingressi e fa finta di niente: incancrenendosi nella sua stessa indifferenza.
A due anni dal più potente <Due giorni e una notte>, i pluridecorati registi belgi danno stavolta la forma del giallo al loro pedinamento etico girando con <La ragazza senza nome> un film lucido anche se non particolarmente appassionante sul senso di colpa, là dove la verità e la compassione, oltre che una necessità, rappresentano l'unica risposta possibile, l'unico riscatto a un mondo a cui a nessuno importa dell'altro.
Storia di Jenny, scrupoloso medico di base, che una sera, con lo studio ormai già chiuso, non risponde al citofono. Verrà a sapere il giorno dopo che a suonare alla porta del suo ambulatorio è stata una ragazza straniera, ritrovata morta poco dopo nelle vicinanze. Il pensiero che avrebbe potuto aiutare quella giovane donna la divora: cerca allora di capire chi fosse e come si chiamasse per darle almeno un'identità e una giusta sepoltura. Non smettendo di chiedersi, più di quanto non faccia la polizia, cosa le sia successo...
Piani sequenza, montaggio ridotto all'essenziale, realismo scarno: i Dardenne prestano il loro cinema morale (che non giudica ma osserva) a un polar sociale dove a fare la differenza è soprattutto la figura della protagonista (una sobria e brava Adele Haenel, sullo schermo dall'inizio alla fine), il suo interesse per gli altri (che diventa missione), la sua difesa della dignità delle persone. Il segno più confortante di un film in realtà un po' scolastico, che non ha la forza lampante de <La promessa> né la poesia ruvida e toccante de <L'enfant>: ma che in un periodo tribolato come questo, dove si ragiona più di pancia che di testa, è comunque il sobrio esempio di un cinema urgente e attuale. Oltre che necessario.