Il film più bello delle feste? E' un melodramma in bianco e nero e 4/3 girato da un regista polacco che ha vissuto, per qualche tempo, anche in Italia. E' il miglior film europeo dell'anno (ha appena trionfato agli Efa, dove ha vinto 5 statuette), è stato premiato per la regia a Cannes e molto probabilmente entrerà nella cinquina degli Oscar per il miglior lungometraggio straniero. Ma se ancora non siete convinti, mettiamola così: se una volta avete amato – o siete stati amati – questo è anche il vostro film. E non solo perché è la storia – come sostiene il suo autore, il bravissimo Pawel Pawlikowski - di <un amore impossibile in un'epoca impossibile>: ma perché almeno una volta tutti siamo stati quell'uomo che guarda i passi di una ragazza che si allontana per sempre (o solo fino alla prossima volta). O quella donna che se ne va, dopo un estremo ripensamento, portandosi sulle labbra il sapore di un ultimo bacio.
E' uno straordinario, commovente, melodramma, <Cold War>, girato con magnifica eleganza, grande ispirazione nella composizione dell'inquadratura, inusuale e toccante partecipazione. La struggente canzone di un sentimento che resiste al tempo: la melodia, per musica e immagini, con cui il regista di <Ida> (premio Oscar per il miglior film straniero) esalta la forma (in un emozionante rigore stilistico) senza rinnegare il racconto per tradurre in immagini piene di senso (notevolissima e ricercata la fotografia che nelle sequenze ambientate all'Est richiama Jancso e Forman, mentre in quelle in Francia il cinema transalpino dei primi '60) sbalzi, crepe e rinunce di un amore che insegue se stesso.
Il continuo rincorrersi, lungo 15 anni (dal '49 al '64), tra le frontiere e i muri della guerra fredda, di Wiktor, un affascinante pianista in cerca di talenti e Zula, aspirante cantante, bionda e passionale. Si incontrano nella Polonia del dopoguerra, entrambi protagonisti di uno spettacolo di musica popolare che gira per l'Europa dell'Est. Basta poco, un gioco di sguardi, il tempo (che allora ancora c'era) di guardarsi negli occhi: scocca la scintilla, scoppia l'amore. A Berlino lui organizza la fuga, ma lei non si presenta all'appuntamento: incapaci di stare con o senza l'altro, si ritroveranno a Parigi e poi ancora a Varsavia. Delusi, sconfitti forse, ma ancora perdutamente innamorati.
Dedicato ai genitori del regista (di cui i protagonisti portano non a caso anche i nomi), <persone forti e meravigliose, ma disastrosi come coppia...>, <Cold War> lascia che il melò abbracci, come in un passo di danza, il musical (dove quello che si canta è importante tanto quanto o più di quello che viene detto), attraversando il folk per poi approdare al jazz, in una contaminazione sempre più romantica. E mentre il faccione di Stalin campeggia sul palco e in sottofondo la radio suona Adriano e i suoi <24mila baci>, Pawlikowski, tenuta a battesimo la stella di Joanna Kulig (grande rivelazione di quest'anno di cinema), firma un capolavoro di sensibilità e passione in cui si domanda se esiste – da qualche parte e davvero – un sentimento destinato a durare per sempre. Capace di sopravvivere all vita, all'arte, alla politica, agli scherzi della Storia e ai rovesci del mondo. Capace di sopravvivere, persino, a se stesso.